Raffaele Mincione, già indagato in Vaticano nell'inchiesta sul palazzo di Sloane Avenue a Londra con il broker Gianluigi Torzi e alcuni esponenti della Santa Sede, è indagato anche in un'inchiesta della Dda capitolina per riciclaggio di cui è titolare il magistrato Maria Teresa Gerace.
Città del Vaticano – La sua barca a vela, un dodici metri da competizione con cui ha affrontato diverse regate internazionali, si chiama “Bottadiculo”. Elegante riferimento alla fortuna negli affari, che ultimamente sembra aver perso. Stiamo parlando di Raffaele Mincione, 55enne finanziere di Pomezia, finito nel mirino della Guardia di Finanza per riciclaggio. Ciliegina sulla torta di una serie di vicissitudini giudiziarie che lo coinvolgono in un altra inchiesta, su richiesta del Vaticano, per il sospetto utilizzo di donazioni dell’Obolo di San Pietro, vincolate al sostegno delle attività con fini religiosi e caritatevoli del Papa.
Denaro gestito con ampia discrezionalità (e disinvoltura) dalla Segreteria di Stato Vaticana tramite monsignor Alberto Perlasca e il dottor Fabrizio Tirabassi, entrambi indagati, vicenda che ha già portato alle dimissioni poco spontanee del cardinale Angelo Becciu.
Sono 454 i milioni di euro investiti nel fondo Athena Capital Global Opportunities Fund controllato da Mincione. Il Promotore di Giustizia del Vaticano – Pm della Santa Sede – e la Procura romana, si chiedono per quale motivo gli alti prelati abbiano consentito al finanziere di appropriarsi, in via presuntiva, di 200 milioni, di cui almeno 18 persi negli investimenti azionari. E’ lecito domandarsi anche che tipo di compatibilità ci possa essere tra la gestione di donazioni destinate ad opere caritatevoli e un fondo azionario per altro in rialzo.
Perché la Segreteria di Stato Vaticana si sarebbe affidata ad un personaggio cosi discusso? Lo stesso che già nel 2018 un’inchiesta del settimanale l’Espresso definiva “raider” di borsa tra fondi lussemburghesi, speculazioni in Russia, affari immobiliari a raffica e giochi di sponda assortiti a Malta, Jersey e i Caraibi? Dopo aver conquistato visibilità nella City di Londra, il finanziere di Pomezia si è dedicato alle scalate bancarie acquisendo quasi il 6% delle quote di Carige. Dopo averci provato, senza successo, con Monte Paschi e Banca Popolare Milano. Senza dimenticare la gestione tra luci ed ombre dei fondi Enasarco che costituiscono un discorso a parte.
Ma c’è di più. Perché monsignor Perlasca – grande sponsor di Mincione – avrebbe ignorato l’informativa riservata della Gendarmeria Vaticana in cui lo si definiva persona eticamente non idonea? Secondo il broker Gianluigi Torzi (arrestato, incarcerato e poi in libertà provvisoria), interrogato dai magistrati pontifici, gli alti prelati erano consapevoli della situazione, tanto da volersi liberare di Mincione una volta compreso che la corda si stava spezzando.
Non tanto perché sopraffatti da tardivi rimorsi di coscienza, probabilmente perché il bottino da spartirsi si stava notevolmente assottigliando, come ipotizzato dagli inquirenti. Insomma un piano scientemente studiato a tavolino per depredare le casse vaticane a fini personali. Ovviamente.
Per licenziare discretamente Mincione i due “sodali” avrebbero acquistato, sempre tramite Athena Capital, un antico magazzino di Harrods, nell’esclusivo quartiere di Chelsea a Londra, ad un prezzo spropositato da cui lo stesso Mincione avrebbe prelevato ben 40 milioni di euro a titolo di liquidazione.
Anche in questo caso non si capisce perché la Segreteria di Stato abbia coinvolto Torzi nel ruolo di mediatore il quale, attraverso la sua società, acquistava l’immobile tenendo praticamente in ostaggio i vescovi. Poi la botta finale: mille azioni con diritto di voto detenute dal broker che ottiene cosi altri 15 milioni di euro per cederle poi, definitivamente, alla Santa Sede dopo estenuanti trattative tira e molla. La vicenda non è finita e potrebbero scapparci altri risvolti eclatanti.
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