Resta in carcere Andrea Favero, il compagno della donna sospettato di omicidio. Non si trova il cellulare della vittima.
Padova – Continuano le indagini sulla morte di Giada Zanola, la 34enne lanciata dal cavalcavia in A4 a Vigonza, nel Padovano, dal compagno, e padre di suo figlio di 3 anni, Andrea Favero, camionista di 38 anni, che l’altro ieri non ha risposto alle domande del Gip durante l’interrogatorio di garanzia e al momento resta in carcere con l’accusa di omicidio aggravato. Pur non convalidando il fermo, perché non si ritiene ci sia un pericolo di fuga, il giudice ha comunque considerato solido l’impianto del pm e ha emesso una nuova ordinanza di custodia cautelare.
Intanto l’autopsia sul corpo della giovane madre ha accertato che, con ogni probabilità, Giada era ancora viva quando il suo ex compagno secondo l’accusa l’ha gettata dal cavalcavia. Dall’esame, svolto nella giornata di venerdì, non sarebbero infatti stati evidenziati segni di strangolamento o ferite di arma da taglio sul corpo della donna. E’ comunque possibile che Favero l’abbia tramortita per riuscire a sollevarne il corpo oltre il parapetto del manufatto, che in quel punto misura circa due metri.
L’inchiesta ruota attorno al rapporto burrascoso che intercorreva tra la vittima e il presunto carnefice, fatto di quotidiane liti anche per motivi economici. Ma il fulcro individuato dagli inquirenti resta quello sentimentale: Giada aveva una relazione con un’altra persona e si accingeva a cambiare occupazione, per andare a lavorare presso lo stesso distributore del suo amante. D’altro canto Andrea Favero, che continua a dirsi innamoratissimo della compagna, temeva di perdere la possibilità di vedere il figlio, e infatti nella lacunosa e contraddittoria ricostruzione fatta agli inquirenti sulle ultime ore di vita della compagna ha riportato le minacce che Giada gli avrebbe rivolto in tal senso.
Dalle testimonianze degli amici emerge come Giada avesse maturato il sospetto di essere in qualche modo drogata dall’indagato. Ma non era questa l’unica preoccupazione della 34enne: temeva infatti di poter restare vittima di ricatti a sfondo sessuale. Dal decreto di fermo emerge che aveva confidato a un’amica e al nuovo compagno di essere preoccupata che lui avesse realizzato dei video mentre erano in intimità per poi ricattarla diffondendoli sul web. Per questo la polizia postale è stata già incaricata di verificare se su telefoni o pc ci siano tracce di file che confermerebbero la preoccupazione della vittima. Ma il cellulare di Giada non si trova. Né sul luogo del decesso né in casa.
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