Per il presunto omicidio dell’imprenditrice, nel luglio 2019, era stato arrestato Salvatore Ascone, 54 anni, detto ‘u Pinnularu, pregiudicato, vicino alla famiglia mafiosa dei Mancuso di Limbadi. L'uomo e un suo dipendente rumeno sono stati poi scarcerati dal tribunale del Riesame.
Limbadi – Ci sarebbero novità sulla scomparsa di Maria Chindamo, l’imprenditrice di 44 anni sparita nel nulla il 6 maggio 2016. La mattina dell’omicidio una Wolkswagen Golf grigia avrebbe atteso il passaggio del Suv bianco di Maria Chindamo per seguirla mezz’ora prima che la donna venisse uccisa. A rivelare l’importante particolare investigativo è l’avvocato Nicodemo Gentile, presidente nazionale dell’associazione Penelope, che espone i fatti nel dettaglio:
”…Dall’attività di ricostruzione dei fatti – spiega Gentile – sta emergendo che la mattina del 6 maggio 2016, giorno dell’omicidio, una Golf grigio chiaro con a bordo il solo conducente, con tettuccio apribile, cerchi in lega, ammaccatura sul parafango anteriore sinistro, targa poco decifrabile, con ogni probabilità avrebbe avuto il compito di – intercettare, osservare e segnalare – gli spostamenti di Maria nel percorso verso la sua tenuta…A partire dalle 6.43 infatti, le telecamere di sorveglianza posizionate presso il distributore Tamoil di Laureana, registravano il passaggio di una Golf che, con andatura costante e circolare, effettuava fino alle 6,58 ben dieci transiti, a salire e a scendere, intorno al predetto distributore…
…Il veicolo in parola, sempre nello stesso orario, appena riconosceva la Dacia Duster di Maria, iniziava a seguirla a velocità sostenuta e da allora però non transitava più nei pressi della Tamoil. Si tratta, con evidenza, di un elemento di fondamentale importanza per la comprensione degli eventi ed è per questo che, pur consapevoli delle oggettive difficoltà, non ci arrendiamo nella ricerca della verità, chiedendo l’aiuto a chiunque sia a conoscenza di elementi utili, perché Maria e la sua famiglia meritano giustizia…”.
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La donna usciva dalla sua villa di Laureana di Borrello, in provincia di Reggio Calabria, per dirigersi in auto nei suoi campi di Limbadi dove Maria aveva assunto due operai che l’attendevano nella sua azienda agricola. La donna, stante alle ricostruzioni degli inquirenti, sarebbe arrivata davanti all’ingresso dell’azienda agricola ma una volta scesa dall’auto di lei si sarebbero perdute le tracce.
L’imprenditrice, evidentemente, sarebbe stata aggredita in auto, forse tramortita se non peggio, e poi trasportata altrove tramite una seconda auto che potrebbe essere anche quella che cita l’avvocato Gentile, oppure una terza che avrebbe poi preso una direzione al momento ancora sconosciuta. Dentro la Dacia Duster di Maria Chindamo, vedova con tre figli, gli investigatori scopriranno tracce del suo sangue che potevano significare o il ferimento della donna oppure un suo tentativo di difendersi dagli aggressori.
A qualche decina di metri dal punto esatto del presunto evento delittuoso i due operai che attendevano la donna non si sarebbero accorti di nulla. Uno di loro riferirà ai carabinieri di non aver sentito nulla perché si sarebbe trovato a bordo del suo trattore ed il rumore del grosso diesel non gli avrebbe permesso di sentire nulla. L’altro mezzadro, invece, dichiarerà di non aver visto nulla perché giunto sul luogo in ritardo a causa di un imprevisto sulla strada per Rosarno da dove proveniva. L’unica telecamera, installata sul cancello d’ingresso, risulterà manomessa dunque inutilizzabile ai fini dell’indagine.
Bocche cucite e omertà come si conviene in quella parte della Calabria dove la ‘ndrangheta, forse anche in questo caso, propone e dispone a suo piacimento. Da subito gli inquirenti avrebbero privilegiato la pista della vendetta d’onore. Maria Chindamo sarebbe stata uccisa da ignoti che cosi avrebbero voluto vendicare la morte del marito Ferdinando Punturiero, morto suicida nel 2015 perché non avrebbe sopportato la fine del matrimonio con la madre dei suoi figli.
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Per il presunto omicidio dell’imprenditrice, nel luglio 2019 era stato arrestato Salvatore Ascone, 54 anni, detto ‘u Pinnularu, pregiudicato, vicino alla famiglia mafiosa dei Mancuso di Limbadi. L’uomo, proprietario di una casa rurale ubicata vicino l’azienda agricola della Chindamo, sarebbe stato il responsabile del guasto alla telecamera installata sopra i cancelli della proprietà della donna. Con lui era stato arrestato anche il cittadino rumeno Gheorghe Nicolae Laurentiu, 31 anni, dipendente di Ascone. Un mese dopo i due venivano scarcerati dal tribunale del Riesame. Le indagini proseguono e la svolta potrebbe essere imminente.