Le mamme nelle condizioni di Maddalena Balice sono migliaia in tutta Italia ma la mancata riforma degli affidi condivisi continua a mietere vittime
Maltrattata, umiliata e adesso rischia di perdere anche il bambino. Quella di Maddalena Balice è un’altra storia assurda di “Tribunali che non si parlano”, della mano destra che non sa che cosa fa quella sinistra, di una giustizia che non fa giustizia. Maddalena Balice ha 36 anni e da 5 lotta con tutte le sue forze per salvare lei ed il figlio dall’ex convivente, un uomo violento e pericoloso. Che sia violento non lo dice Maddalena ma diverse sentenze penali. Eppure la relazione di un consulente tecnico d’ufficio, dunque nominato da un tribunale civile, relega la questione ad una situazione meramente conflittuale tra i due definendoli entrambi inidonei ad esercitare la potestà genitoriale. Il rischio reale è che il bambino, dopo tutto quello che ha già passato, potrebbe vedersi privato anche della tutela materna. Tutto questo nonostante altri esperti riconoscano che è solo grazie alle competenze materne che il minore oggi non manifesta traumi evidenti da violenza indotta dal padre.
La vicenda di Maddalena Balice è molto complessa e si muove, come accade spesso in questi casi, su due binari giudiziari: quello penale e quello civile. Maddalena inizia la convivenza con l’uomo nel 2013 in una casa di Bologna, lei fa l’insegnante, lui invece trova lavori saltuari. La donna trascorre parte della gravidanza, e diversi mesi successivi, in Puglia, nella casa dei genitori e ritorna dal convivente nel mese di maggio. Il rapporto tra i due di incrina quando, dopo la nascita del figlio avvenuta nel marzo del 2015, lei scopre casualmente il passato e certe abitudini discutibili dell’uomo. Già qualche mese prima il loro rapporto si era incrinato.
La giovane insegnante aveva intuito che il suo compagno non fosse quello che pensava di conoscere. Dell’uomo, in effetti, sapeva ben poco ma quando ha avuto notizia che il convivente, nel 2011, era stato arrestato per uso e spaccio di cocaina il mondo sembrava caderle addosso. Da quel momento Maddalena aveva iniziato a scavare più a fondo nella vita del padre di suo figlio scoprendo che quest’ultimo conduceva una doppia vita.
I tradimenti con transessuali e scambisti erano all’ordine del giorno. Da quel momento per Maddalena iniziava un vero e proprio incubo. L’uomo si era fatto via via più violento e aveva iniziato a picchiarla e minacciandola di morte. Non contento più di una volta aveva tentato di stringerle il collo come a volerla strangolare. Nel 2016 l’uomo minaccia Maddalena con una spranga di ferro e sbatte fuori di casa la donna e il figlio. Maddalena si trasferisce con il bambino a Bologna e, nonostante i maltrattamenti, non impedisce all’ex convivente di vedere il figlioletto. In una di queste occasioni la giovane donna cede alla richiesta del suo ex compagno di andare insieme al supermercato. È un tentativo di lui per convincerla a ritornare insieme e al diniego di lei l’uomo reagisce menandole calci e spintoni pur avendo il figlio tra le braccia che, impaurito, assisteva alla terribile scenata. La violenta lite veniva ripresa dalle telecamere di sorveglianza dell’ipermercato ma a quel punto Maddalena decideva, per la prima volta, di denunciare l’ex convivente ai carabinieri di Bologna.
La denuncia veniva poi integrata qualche mese dopo con altri fatti di violenza registrati e che, nell’ottobre del 2016, costringevano la povera donna a ricorrere alle cure dei medici del pronto soccorso per le gravi percosse subite. Il 29 maggio 2017, l’ex compagno dell’insegnante, si beccava la prima condanna a 3 anni, pena sospesa, per maltrattamenti in famiglia aggravati perché avvenuti in presenza del minore. Nonostante tutto l’uomo continuava però a fare lo stalker nei riguardi di Maddalena tanto che nel febbraio del 2017, la donna presentava un’altra denuncia chiedendo anche l’allontanamento dell’uomo. Il 12 luglio 2017, infatti, l’ex convivente veniva rinviato a giudizio per il reato di stalking. Non pago dei provvedimenti giudiziari l’uomo, il 20 luglio 2017, invitata via mail la sua vittima ad un incontro chiarificatore raccomandandole di non avvisare nessuno e di non aver paura, allegando alla missiva elettronica un Babbo natale morto sparato alla schiena: “…Se sono viva – dice Maddalena – è perché a quell’incontro non sono andata…”.
Angosciata e intimorita la poveretta si rifugia in Puglia, nella casa dei genitori, continuando a consentire i contatti tra padre e figlio attraverso i Servizi Sociali ma l’ex convivente, impenitente, proseguiva con le sue azioni persecutorie. Il 22 settembre del 2017, il tribunale dei minori di Bari emetteva un provvedimento di divieto di avvicinamento dell’uomo alla casa dove vivevano Maddalena e il figlio. Provvedimento poi revocato pochi giorni dopo perché risultava pendente un precedente procedimento presso il tribunale di Bologna. Nel 2018 l’ex compagno di Maddalena viene ancora una volta rinviato a giudizio per minacce e molestie, un terzo rinvio a giudizio arriverà nel novembre 2019.
Nel frattempo il tribunale civile di Bologna stabiliva, poco prima della revoca del divieto di allontanamento dell’uomo disposto dal tribunale dei Minori di Bari, il trasferimento della donna e del bambino in Puglia e l’affido condiviso, nonostante esistesse già una condanna nei confronti dell’ex convivente. La sezione civile del Tribunale di Bologna, titolare del procedimento, nominava un Ctu il quale, in maniera colpevolmente bonaria, non riscontrava elementi ostativi alla ripresa dei rapporti fra il figlio e il padre. Insomma, per il consulente tecnico d’ufficio, il fatto che l’uomo fosse un cattivo compagno innanzi al figlio non voleva dire che fosse anche un cattivo padre. Sulla base di quella traballante perizia il tribunale di Bologna emetteva, nel dicembre del 2018, un decreto che affidava il bambino ai servizi sociali di un Comune pugliese senza delega della responsabilità genitoriale. Il tribunale, in buona sostanza, metteva sullo stesso piano
e il suo ex convivente nonchè padre di suo figlio. Il decreto in questione veniva appellato dai legali di Maddalena che chiedono l’affidamento esclusivo del minore considerate anche le continue ostruzioni paterne in danno del figlio figlio che costringevano la donna a doversi sempre rivolgere ad un giudice tutelare, oppure richiedere visite protette mentre per il padre veniva richiesto un trattamento previsto dalla convenzione di Instanbul (e dal codice rosso) per evitare i comportamenti violenti.
Nel maggio del 2019 la Questura di Cuneo, dove Maddalena stava trascorrendo le vacanze pasquali con il figlio con il consenso dei servizi sociali, a seguito di denuncia corroborata da riscontri probatori, decideva di mettere in protezione la madre e il bambino affidandoli ad una struttura protetta ad ubicazione segreta. Il provvedimento, però, non veniva accolto dalla Corte di Appello di Bologna. Il giudice, sulla base delle dichiarazioni rese da un assistente sociale e dal padre del bambino precedentemente denunciati da Maddalena, ammoniva la donna accusandola di essersi trasferita a Cuneo senza il permesso delle autorità. Il 6 febbraio 2020 arrivava puntuale la seconda relazione del Ctu, affidata ad un altro perito, che riduce tutto ciò che è accaduto a Maddalena ad una mera serie di scaramucce con l’ex compagno, ritenendo che alla luce delle questioni penali in atto qualunque forma di affido, se non quello delegato ai servizi sociali. non fosse da prendere in considerazione. A questa decisione Maddalena si appellava e al momento la donna è in attesa della sentenza.
Una domanda, però, sorgerebbe spontanea per tutti: un perito di tribunale come ha potuto mettere sullo stesso piano una mamma con quei trascorsi di violenze e maltrattamenti palesi e un padre gravato da condanne per spaccio e violenze familiari consumate davanti al figlioletto?
Da 5 anni Maddalena è costretta a cambiare residenza, spostandosi per tre Regioni con l’autorizzazione dei giudici, pur di proteggere sé stessa ed il bambino. Maddalena è forte e coraggiosa. Ha sempre documentato e ripreso i comportamenti dell’ex convivente ed ha poi denunciato assistenti sociali e Ctu ma tutto questo, per il tribunale civile non basta:
“…Ciò che consiglia il Ctu – confessa la donna – mi sta creando altra sofferenza perché ingiusto, illogico. Non ho mai compiuto i comportamenti violativi di cui mi imputa il CTU, a confermarlo una montagna di prove inconfutabili. È inaccettabile. Lo stesso Ctu ha evidenziato le forti manipolazioni che il mio ex agisce sugli ambienti e sulle persone. Molte le pressioni ricevute durante le azioni peritali tese a farmi ritirare le denunce sporte nei riguardi del padre di mio figlio..”.
Maddalena Balice, nonostante la situazione, continua ad avere fiducia nella giustizia. Il suo caso è finito anche in Senato grazie all’interessamento della senatrice Cinzia Leone, vicepresidente della commissione sui Femminicidi, ma adesso non nega di essere stanca per una vicenda che l’ha logorata dentro e che la tiene sospesa ad un filo. La relazione del Ctu è un concentrato di attacchi al senso materno nonostante il perito abbia dichiarato di non aver avuto tempo di valutare la situazione nella sua interezza. Questo significa la donna potrebbe, paradossalmente, perdere l’affido del figlio. In qualsiasi momento. Questa sarebbe davvero una gravissima ingiustizia. Per mamma e figlioletto. Ammesso che interessi a qualcuno.