Enrico Costa: “o Gratteri spara numeri a casaccio oppure Nordio dovrebbe cacciare uno a uno quelli del Dap e i direttori degli istituti”.
Roma – Il procuratore di Napoli Nicola Gratteri lancia la bomba. Difficile accettare che i “detenuti di
mafia organizzino chiamate collettive anche da carcere a carcere mentre fuori si conduce una battaglia per arginare profitti e reati delle organizzazioni”. E ancora: “E’ ormai più facile gestire una piazza di spaccio in carcere che fuori”. Gratteri senza veli né peli sulla lingua parla apertamente di “fallimento” del sistema carcerario italiano, ridotto ormai a un colabrodo. Tra droni, palloni imbottiti di device e sim card lanciati nei cortili del passeggio, il quadro “è allarmante”.
Telefoni, microtelefoni, droga. In carcere, in Italia, entra di tutto: “Cominciamo col dire che mediamente
in ognuna delle strutture italiane ci sono 100 telefonini attivi in questo momento”. Su centonovanta istituti nel nostro Paese il calcolo restituirebbe una cifra drammatica: “E’ l’amara realtà dei fatti”. Dall’hashish alla cocaina, fino al mercato del Subutex, un farmaco che ha effetti simili al metadone. L’immagine di molte carceri sembra quella di una piazza di spaccio: “Il traffico di sostanze stupefacenti dentro i penitenziari è diventato un vero e proprio business. E’ più facile oggi gestire una piazza di spaccio in carcere, dove i detenuti di spessore hanno a disposizione una nutrita manovalanza di detenuti di minore levatura per la gestione, che in una singola città ove le rivalità tra clan ne riduce la loro potenzialità”.
Parole come pietre, difficili da accettare. Ma Gratteri insiste. Il risultato? “I capi si arricchiscono e i detenuti
tossicodipendenti invece di essere curati continuano a drogarsi in ambiente che dovrebbe invece essere deputato al loro recupero”. Un fallimento: “Ne sono assolutamente convinto”. E poi ci sono i telefonini: “E’ oltremodo necessario recidere definitivamente il fenomeno con la predisposizione di jammer con i quali poter impedire ai telefonini, in possesso illecitamente dei detenuti, di poter ricevere e comunicare”. “Il pericolo – continua – è la possibilità di poter decidere le sorti di un carcere anche con soli pochi telefonini, mai in possesso di capimafia ma da loro comunque utilizzati, con i quali detenuti di alta e media sicurezza, per i quali dovrebbe esistere la netta separazione, organizzano la commissione di reati, proteste e spedizioni punitive per accrescere il loro carisma penitenziario e mafioso”.
“Ci sono detenuti appartenenti ad organizzazioni mafiose – racconta il procuratore – che organizzano incontri telefonici, anche collettivi e finanche tra carcere e carcere. In alternativa pensiamo al fatto che nel carcere di Rossano, ove esistono reparti di alta sicurezza per mafiosi e per terroristi internazionali, di recente sono stati rinvenuti complessivamente circa 140 telefonini”. Si tratta di “un duro colpo che la criminalità di stampo mafioso sferra allo Stato, nella sua perenne e gravosa lotta a tale abietto fenomeno. L’immagine del mafioso che diventa – se possibile – ancor più autorevole, in grado di esibire pienamente il proprio potere, ancor più
percepito giacché esercitato da dietro le sbarre, in barba all’amministrazione penitenziaria e allo Stato stesso è scoraggiante e mortificante per tutto l’apparato che cerca invece di elidere i contatti con l’esterno attraverso la carcerazione”, conclude Gratteri.
L’unico ad ascoltare le parole del procuratore è Enrico Costa, deputato di Azione, ex viceministro della Giustizia molto sensibile a questi temi: “Cento cellulari per ciascuno dei 190 istituti significa quasi 20 mila cellulari attivi nelle carceri. O Gratteri spara numeri a casaccio o Nordio dovrebbe cacciare uno a uno quelli del Dap e i direttori degli istituti”, scrive su X Costa.