Conclusa l’assemblea capitolina con tante speranze e programmi già vecchi. Le soluzioni al problema Italia erano già note quando Renzi poteva cambiare le regole del gioco. Adesso la colpa è degli altri.
In un clima forte da Amarcord si è conclusa l’assemblea dei seguaci di Matteo Renzi. Il capo di Italia Viva ha fatto il suo ingresso da star come meglio non poteva sullo stile Leopolda dei bei tempi andati. Subito al microfono l’ex leader del Pd da tre punti percentuali, ha subito attaccato col programma del nuovo partito che inizierà a battersi su crescita e riforme, gli stessi argomenti che aveva sbandierato ai quattro venti durante le campagne elettorali di qualche anno fa. Poi ha alzato la voce sullo sblocco dei cantieri e sulla pressione fiscale, altri due refrain triti e ritriti su cui ha avuto anni e anni per fare qualcosa senza combinare nulla. Con i Pentastellati Renzi è stato lapidario: nessuna alleanza. Ma sino al 2023 il buon Matteo starà soltanto alla finestra?:
”… Siamo qui per cercare di parlare di politica che non è semplicemente fare un tweet o partecipare a un talk ma avere un progetto – ha detto Mat – una visione, non è suonare a un citofono, fare populismo…Ormai è tutta un’esagerazione. E’ iniziato il 2020 con tutta una previsione apocalittica sugli anni ’20, e poi la terza guerra mondiale e poi l’annuncio di una battaglia epocale: le elezioni regionali in Emilia Romagna. E ancora in tutte questa esasperazione arriva il coronavirus. E’ come se fossimo tutti circondati dal bisogno di messaggi choc. Allora in tutta questa esasperazione noi vogliamo fare un scelta in controtendenza, perché vogliamo discutere e per fortuna ora siamo in un partito in cui possiamo farlo…”.
Infatti prima il buon Matteo stava all’interno di un partito dove aveva zittito tutti mentre adesso sembra che nulla sia cambiato: capo era e capo è rimasto, altro che condivisioni e twitter. Ma il toscanaccio ha detto tanto di più:
”…Basta inseguire populisti, vogliamo dettare noi l’agenda e per farlo occorre avere una visione, occorre prevedere. Bisogna avere uno sguardo lungo per poi passare al parallelo con l’uscita dell’Inghilterra dall’Europa…Qual è il primo insegnamento che viene dalla Brexit? Evitiamo di dare al populismo l’occasione di scrivere il futuro dei nostri figli. E quando ho visto le immagini di ieri mi sono detto ancora una volta che abbiamo fatto bene ad agosto a non lasciare che Salvini avesse pieni poteri e ci portasse all’Italexit… La storia si sta incaricando di dimostrare che l’unica sinistra che può vincere è quella di Tony Blair e non quella di Jeremy Corbyn, perché si vince con il riformismo, non con l’estremismo. Corbyn è stato uno dei fattori determinanti per la vittoria di Johnson. Tanti si sono detti ‘meglio la Brexit che Corbyn… Perché l’Italia possa andare avanti occorre stabilità che però non è immobilismo. Stabilità sì, rinviare e immobilismo no…”.
Ma come? Parla proprio lui che come premier aveva fatto della dilazione il suo cavallo di battaglia? Renzi ha poi affrontato il “tragico” argomento della prescrizione. Un nodo cruciale e irrisolto che, in occasione dell’apertura del nuovo anno giudiziario, a Milano, ha fatto fuggire dall’aula magna decine e decine di avvocati mentre Piercamillo Davigo argomentava sulla capacità di fare pulizia della magistratura al suo interno:
”…Io non ho accettato di fare un governo per cedere al giustizialismo dei Grillini – ha continuato Renzi – Lo dico a M5S: noi non siamo tasse e manette…”. Già come certe società a lui molto vicine che con tasse e manette, pare, abbia avuto a che fare da vicino ma adesso la suonata è cambiata e Renzi si ricicla come può. Specie sulle disgrazie della nostra rete viaria:
”…La pagina di Genova è un dramma incredibile, segna la storia dell’Italia e noi esigiamo giustizia – ha evidenziato don Matteo – s siamo perché chi ha sbagliato paghi davvero. Ma la differenza tra populismo e buon governo è la polemica sulle concessioni. Se si dà l’idea che c’è un governo di populisti e non di esperti di diritto, è un errore politico e un danno alla credibilità del Paese. Si faccia pagare ad Autostrade ma senza cedere a populismo…”.
Populismo, populismo, populismo. Lo avrà ripetuto decine di volte ma a che cosa avrà inteso fare riferimento? Allo storico movimento politico-culturale russo che mirava al socialismo rurale in contrapposizione al burocratismo zarista e all’industrialismo occidentale? Oppure ce l’aveva con Salvini e il centro-destra in genere che secondo lui si dirigono verso l’esaltazione demagogica delle qualità e capacità delle classi popolari?:
”…Abbiamo molto rispetto del presidente del Consiglio – ha concluso Renzi nel suo articolato discorso simile ad un inestricabile ginepraio – e vogliamo dargli una mano e speriamo che vada avanti. Questo giudizio non arriva però a farne il leader dei progressisti del mondo…”.
Elezioni dunque nel 2023. Ogni cinque anni. E non quando lo decide qualcuno. Giusto, sacrosanto. Nemmeno quando lo decide Renzi, però.