La carta costituzionale sarebbe da “svecchiare” ma l’attuale classe politica potrebbe danneggiarla irrimediabilmente. I tentativi del passato sono stati tutti deludenti dunque meglio il “vecchio saggio”.
Quando si parla di Costituzione si ha come l’impressione di dialogare con un vecchio saggio che infonde sicurezza e fiducia. Formidabile come l’impalcatura costituzionale di un Paese come l’Italia sia ancora così robusta e “pop”. Approvata dall’Assemblea Costituente, il 22 dicembre 1947 e promulgata cinque giorni dopo dal capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, la Costituzione italiana entrò in vigore il 1° gennaio del 1948. Con i suoi 139 articoli e le 18 disposizioni transitorie e finali, è la legge fondamentale dello Stato.
Essa non si limita a enumerare le norme sulle fonti del diritto, ma contiene anche diverse disposizioni riguardanti molti settori del vivere civile. La Costituzione italiana è “rigida” e si può modificare solo con un particolare procedimento parlamentare, ma è soprattutto “democratica”, perché il concetto di “sovranità popolare” trova ampio spazio, così come hanno un ruolo di rilievo sia i sindacati che i partiti politici.
Tante norme, che ispirarono i costituenti, potrebbero essere oggetto di analisi per verificare se è stata data loro attuazione, considerata la modernità che ancora le caratterizza. Alcune staticità comportamentali degli attuali legislatori hanno, infatti, determinato l’inefficacia normativa di taluni fondamentali principi costituzionali.
Purtroppo è ancora attuale il problema della disparità tra i due sessi. I diritti delle donne ebbero tante vicissitudini prima e dopo la costituzione, lo status giuridico del riconoscimento dei diritti delle donne prende corpo nell’esame del principio di parità, riconosciuto dall’art. 3 della costituzione. La donna conquista il diritto al voto solo il 2 Giugno del 1946. Il quadro legislativo, ampio e variegato, comunque non garantisce nel vissuto quotidiano ancora una reale parità: fino a quando si vedranno sempre più uomini ai posti di potere significherà che il problema non è ancora stato risolto. E’ un atto di onestà intellettuale parlarne e tenere viva l’attenzione su questo tema.
Certamente riflettere sulla Costituzione significa anche riflettere sulla propria identità e sul senso della legalità, quel senso del dovere morale che ogni cittadino dovrebbe avere, indipendentemente dal timore di sanzioni giuridiche. E’ opportuno ricordare, per non cadere nell’oblio della memoria, che il 22 dicembre 1947 il Presidente della “Commissione dei 75”, Meuccio Ruini, intervenne in assemblea per definire le novità che lo spirito della costituente incarnava, affermando in particolare: “questa carta che stiamo per darci è, essa stessa, un inno di speranza e di fede. Noi abbiamo la certezza che durerà a lungo, forse non finirà mai, ma si verrà completando ed adattando alle esigenze dell’esperienza storica. Pur dando alla nostra Costituzione un carattere rigido, come chiede la tutela delle libertà individuali, abbiamo consentito un processo di revisione che richiede meditata riflessione, ma che non la cristallizza in una statica immobilità. Vi è modo di modificare e correggere con sufficiente libertà di movimento”. Così avverrà. La Costituzione sarà gradualmente perfezionata e resterà la base definitiva della vita costituzionale italiana.
Piero Calamandrei ricordò, nel suo intervento del 4 marzo 1947, il faticoso iter di formulazione del testo: il lavoro compiuto non era il frutto di una stanca liturgia, ma era legato ad un alto grado di competenza dei padri costituenti. Ciò dovrebbe fare riflettere sulla passione che animava i nostri originari legislatori, sulla loro competenza e sul loro amore per il nostro Paese.