CHE SHOCK L’ELETTROSHOCK!

La terapia convulsivante mediante passaggio di corrente elettrica è un trattamento ancora utilizzato in cliniche ed ospedali. Dopo la chiusura dei manicomi la pratica cruenta sembrava dismessa perché coercitiva ed irrispettosa della dignità umana, invece…

L’elettroshock, terapia convulsivante, TEC o ECT in inglese, è una tecnica basata sull’induzione di convulsioni al paziente, mediante passaggio di corrente elettrica attraverso il cervello. E’ una pratica molto diffusa in ambito sanitario, soprattutto in Paesi avanzati come gli Stati Uniti o il Canada e in quelli nordeuropei. Ciò è sorprendente se si considera l’alto livello di welfare state, ad esempio, dei paesi scandinavi, spesso indicati come modelli a cui ispirarsi.

In Italia c’è un ricorso più limitato a questa pratica: esistono 10 strutture dove è possibile sottoporsi alla TEC: 5 appartengono al servizio sanitario nazionale pubblico e 5 a cliniche private convenzionate (dati CCDU, comitato cittadini per i diritti umani). 

La maggior parte dei ricoverati sono donne: non esiste un’indagine sociologica che spieghi il dato. Forse, i maschi sono semplicemente meno propensi al ricovero. I principali disturbi che vengono curati con questa terapia sono: la schizofrenia, la depressione acuta, la catatonia nelle sue manifestazioni di arresto psicomotorio e la psicosi puerperale, quando la madre manifesta intenzioni suicidarie od omicidiarie del bimbo.

L’argomento è estremamente delicato ed in ambito scientifico si assiste ad un appassionante dibattito. I fautori del trattamento evidenziano i forti e molteplici pregiudizi esistenti, la scarsità di informazione appropriata e di una giusta cautela per tutelare i diritti di chi soffre. Inoltre, è stata introdotta l’anestesia generale al paziente sottoposto ad elettroshock e la somministrazione del curaro, utile ad evitare contrazioni muscolari o persino fratture, provocate dagli spasmi convulsivi indotti dalle scariche elettriche.

Bisogna sgombrare il campo dai pregiudizi ideologici e dalle suggestioni grottesche sui manicomi, che fanno parte dell’immaginario collettivo. A ciò ha contribuito anche il film del 1975 Qualcuno volò sul nido del cuculo, regia di Milos Forman, con la magistrale interpretazione di Jack Nicholson, tratto dall’omonimo romanzo di Ken Kesey. I contrari sottolineano la perdita di memoria (effetto che – pare – è stato reso meno grave col progredire della tecnologia), confusione e demenza progressiva. Questi effetti collaterali negativi sono considerati cure dai favorevoli, perché con essi i pazienti alleviano i sintomi della malattia.

In Italia, la chiusura dei manicomi, grazie alla Legge 180 del 1978, ha mutato il paradigma culturale della malattia mentale. Innanzitutto deistituzionalizzazione del malato di mente e abolizione di pratiche coercitive volte a ledere la dignità umana; poi, integrazione del paziente in comunità/alloggio.

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