Il no al referendum renderà la situazione ancora peggiore e metterà a rischio centinaia di vite umane. Fra gli indipendentisti si sono confusi gruppi anarchici e guerriglieri
Arde Barcellona, arde! Purtroppo non solo di passione, ma anche di violenza.
Le immagini e le notizie che ci giungono dalla capitale catalana non sono rassicuranti.
Dopo la condanna dei leader indipendentisti da parte della Corte Suprema spagnola, con accuse di sedizione, disobbedienza, abusi di fondi pubblici e pene dai 9 ai 13 anni, si è scatenato l’inferno.
La popolazione è scesa in piazza, organizzando marce per la libertà. Le prime manifestazioni si sono verificate il 14 ottobre.
All’inizio i cortei e l’occupazione dell’aeroporto El Prat si sono tenuti in maniera pacifica. Nei giorni successivi, però, gruppi di anarchici, provenienti da Italia e Grecia (le forze di intelligence lo avevano peraltro previsto) e di facinorosi si sono mescolati alla folla, mettendo a ferro e fuoco la città.
Le notti sono state teatro di barricate, poi date alle fiamme, e di scontri duri tra manifestanti e polizia. Le strade e la rete ferroviaria sono state bloccate.
C’è stata l’interruzione della linea dell’alta velocità e un sabotaggio nelle vicinanze di Figueres.
Si parla di danni per circa 2,5 milioni di euro e di molti feriti da ambo le parti.
Perché si è arrivati a questo punto? E’ evidente che la situazione non è nata oggi, ma risale a diversi anni fa.
Nell’ottobre del 2017 in Catalogna si è svolto un referendum per ottenere l’indipendenza della regione da Madrid. La partecipazione è stata molto alta, ma hanno preso parte alle votazioni sostanzialmente i sostenitori della secessione, mentre i contrari sono rimasti a casa.
La vittoria è stata schiacciante: da allora il malcontento catalano è andato crescendo.
Dal punto di vista giuridico il responso della consultazione è stato considerato illegale dallo Stato centrale. La costituzione spagnola non consente un referendum di questo tipo, nonostante l’art. 92 ne preveda uno consultivo.
Una sentenza del tribunale costituzionale nel 2014 già esortava, peraltro, il parlamento catalano a proporre all’intero congresso nazionale la riforma della costituzione, per riconoscere il diritto all’autodeterminazione delle regioni autonome
.Se si volge uno sguardo alla storia, emerge che un forte sentimento indipendentista è da sempre presente nella cultura catalana. Da tale sentimento è nata una corrente politica, sociale e culturale, l’indipendentisme català, che persegue gli obiettivi dell’indipendenza e della sovranità. Questa idea risale invero già al XIV secolo, quando fu costituita la Generalitat de la Catalunya, nome con cui viene indicato il sistema amministrativo-istituzionale del governo catalano.
Tra fine ‘800 e inizio ‘900 è sorto il catalanismo, movimento che punta sulle peculiarità della storia, della lingua e della cultura catalana.
Altresì determinante risulta il peso economico: la regione ha il PIL più alto dell’intera nazione.
In politica internazionale l’indipendentismo si è mostrato favorevole all’integrazione europea: beninteso della Catalogna, intesa come regione-stato.
Nel 2006 la Catalogna si è dichiarata “nazione” nel preambolo dello statuto di autonomia.
Vari articoli di tale statuto, però, sono stati dichiarati incostituzionali nel 2010 dalla corte costituzionale, contribuendo ad incrementare le frizioni tra centro e periferia.
Oggi appaiono ambigue le posizioni assunte dal Presidente del governo catalano, Quim Torra, che non ha condannato in modo chiaro le violenze.
Torra ha affermato di volersi schierare dalla parte del popolo ed ha difeso l’azione dei Mossos d’Esquadra, la polizia catalana protagonista di cariche violente nei confronti dei manifestanti.
Pedro Sànchez, premier spagnolo, non esclude nessuno scenario. Il governo segue con attenzione, soprattutto, l’azione della polizia catalana. Il timore di fondo è che il governo catalano (nonché la stessa polizia) possa ignorare gli ordini centrali e schierarsi dalla parte dei manifestanti.
Un dato almeno è certo: in quella regione, al momento, manca la politica con la p maiuscola, quella di grande respiro, in grado di disegnare un orizzonte e di non limitarsi alla conservazione dello status quo.
Sono del resto imminenti le elezioni politiche in Spagna. Le quarte negli ultimi quattro anni: un indice di forte instabilità, di incapacità di adottare decisioni progettuali e di assumersene le relative responsabilità.
L’unica strada percorribile in Catalogna, per evitare conseguenze più gravi, sembra quella di insistere nel dialogo, nella consapevolezza che sia necessario formulare una soluzione politica alla crisi.
Non si può rispondere con la polizia, almeno non solo. Bisogna pensare ad un progetto che offra, ad esempio, una maggiore autonomia alla regione, soprattutto in materia fiscale, magari emulando il modello già vigente oggi nei paesi baschi. La gestione del vil denaro conta eccome, ignorarlo e farne solo una questione identitaria risulterebbe superficiale. Con la china intrapresa si corre il rischio di un bagno di sangue. E’ davvero ciò che la Spagna vuole?