Donne sottorappresentate negli studi clinici anche se si ammalano di più, usano più farmaci e ricorrono maggiormente al SSN.
Roma – La “salute digitale” penalizza le donne. La rivoluzione tecnologica non ha mutato i “rapporti di forza” tra i generi nemmeno nella sanità. Eppure, nella realtà quotidiana, sono le donne che si prendono cura della salute della famiglia, soprattutto degli anziani. Al contrario, negli studi clinici sono sottorappresentate, tanto che sono svantaggiate anche nel “digital health”. Con questa locuzione (detta anche “eHealth” o “salute digitale, nella nostra lingua) si intende l’uso di tecnologie informatiche e di telecomunicazione (ICT) a favore della salute umana, secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
A risentirne è in primis la loro salute e carriera. Infatti, nonostante siano numerose nelle Università e negli ospedali, gli ostacoli che incontrano nella loro affermazione professionale sono ancora tanti. Non sono considerazioni di veterofemministe ma i risultati del “Libro bianco sulla salute della donna”, a cura di Fondazione Onda ed il contributo di Farmindustria. La prima è l’Osservatorio nazionale sulla salute della donna per promuovere una cultura della salute di genere a livello istituzionale, sanitario-assistenziale, scientifico-accademico e sociale e per garantire alle donne il diritto alla salute secondo principi di equità e pari opportunità. La seconda è l’Associazione delle imprese farmaceutiche. Molti studi hanno dimostrato che ancora oggi le donne sono penalizzate nella tutela della loro salute, nonostante sia ormai nota da diversi anni l’influenza che le differenze di genere (maschile/femminile) esercitano sullo stato psico-fisico, sull’insorgenza e sullo sviluppo delle malattie e sulla risposta alle terapie farmacologiche.
Le donne rispetto agli uomini vivono più a lungo ma si ammalano di più, consumano più farmaci e sono le maggior utilizzatrici del SSN. Il sesso e il genere sono poco considerati nella ricerca scientifica. Spesso vengono riportati i dati complessivi, ma non quelli particolari riguardanti uomini e donne. Le cellule dei due generi reagiscono diversamente agli stimoli chimici e ambientali, eppure, spesso, negli studi clinici non viene riportato il sesso dell’organismo da cui le cellule originano. Mentre, identificarne i fattori e le differenze sessuali, potrà produrre studi mirati e percorsi di prevenzione, diagnosi e cura distinti.
Emerge la bassa presenza delle donne nelle posizioni di vertice, nonostante le iscritte a Medicina dal 1995 sono numericamente superiori ai maschi. Le cause che ne frenano la carriera sono vari, tra cui la gravidanza, considerazioni economiche o di sicurezza del lavoro, discriminazioni di vario genere. Nell’aziende farmaceutiche, come rivelato da Farmindustria, la presenza femminile raggiunge il 45% degli addetti e oltre il 50% nella Ricerca&Sviluppo. Inoltre, il modello di welfare aziendale è orientato al benessere lavorativo, genitorialità e all’equilibrio tra tempi di vita e di lavoro. Infine, alla prevenzione, formazione e sviluppo di competenze.
La discriminazione delle donne nel “digital health” si concretizza, ad esempio, nella loro scarsa rappresentatività nei campioni su cui vengono preparati gli algoritmi di machine learning. Si tratta di un sottoinsieme dell’intelligenza artificiale (AI) per addestrare i computer a imparare dai dati e a migliorare con l’esperienza, anziché essere appositamente programmato per riuscirci. Ed anche l’Intelligenza Artificiale (IA), che sta mutando con prepotenza la struttura sociale e i rapporti sociali, da questo punto di vista, non promette niente di buono. Il sentiero è, ahimè, segnato. Solo una chiara inversione di rotta, politica, sociale e culturale, potrebbe cambiarne il destino!