Due colpi alla schiena e uno in testa: “Tatiana è stata uccisa dal convivente”

Omicidio Tulissi: condannato a 16 anni l’imprenditore friulano Paolo Calligaris. Il primo appello, poi impugnato dalla Procura, lo aveva assolto.

MANZANO (Udine) – Il 20 dicembre scorso, dopo 13 anni di alterne vicende giudiziarie, l’imprenditore di 53 anni Paolo Calligaris, è stato condannato a 16 anni di carcere per il femminicidio della compagna Tatiana Tulissi di 36 anni. La Corte d’Assise d’appello di Venezia, dopo 6 ore di Camera di consiglio, ha emesso il verdetto nei confronti del presunto assassino che avrebbe sparato, l’11 novembre 2008, 3 colpi di pistola alla donna con la quale conviveva nella casa di Manzano. In questo processo bis è stata confermata la sentenza di primo grado risalente al 2019. Calligaris infatti era stato già condannato a 16 anni di reclusione presso il tribunale di Udine ma due anni dopo era stato assolto in appello presso il tribunale di Trieste per non aver commesso il fatto.

La villa di Calligaris teatro della tragedia

Contro l’assoluzione aveva fatto ricorso la Procura della Repubblica di Udine chiedendo l’annullamento. Il ricorso è stato poi accolto dalla Cassazione che ha rimandato il processo ad un nuovo giudizio presso il consesso giudiziario lagunare i cui magistrati hanno poi condannato l’imprenditore, che rimane libero sino al giudizio definitivo. Le toghe veneziane hanno confermato anche la provvisionale di circa 450mila euro decisa in primo grado a favore della famiglia della vittima. La vittima, originaria di Villanova del Judrio, frazione di San Giovanni al Natisone, in provincia di Udine, era impiegata presso il mobilificio Laco con sede a Percoto. Appena rientrata a casa, intorno alle 17.20, Tatiana accendeva la stufa. Per prendere la legna la donna si era recata in garage e proprio vicino la legnaia veniva aggredita dal suo assassino.

I due sarebbero venuti alle mani e la donna si sarebbe difesa con la forza della disperazione per poi tentare la fuga dirigendosi fuori dalla villa per chiedere aiuto. Il killer l’avrebbe inseguita sparando due colpi di revolver calibro 38 special che avrebbero raggiunto la vittima alle spalle facendola stramazzare per terra in un lago di sangue. Mentre Tatiana agonizzava il sicario le sparava un ultimo proiettile in testa facendola spirare sul colpo prima di darsi alla fuga. A trovare il cadavere dell’impiegata era stato proprio Calligaris con uno dei suoi figli intorno alle 18.30. I due congiunti avvisavano i carabinieri ed il 118 ma per la donna non c’era più nulla da fare. I carabinieri, dapprima, orientavano le indagini verso una rapina finita male ma in casa non mancava nulla e non c’erano nemmeno segni di effrazione alle porte dunque l’assassino conosceva la vittima e per entrare in casa aveva utilizzato le chiavi.

Paolo Calligaris

Nessuna traccia dell’arma del delitto, mai ritrovata. Fra l’imprenditore e la vittima pare ci fossero state incomprensioni ma nulla che potesse rappresentare un valido movente per un omicidio. La famiglia di Tatiana, negli anni, si è sempre battuta per conoscere la verità nonostante l’inchiesta fosse passata nelle mani di tre pubblici ministeri l’ultimo dei quali, Marco Panzeri, aveva richiesto ed ottenuto il rinvio a giudizio dell’imprenditore. Nell’inchiesta sul brutale fatto di sangue entrava a gamba tesa un pregiudicato sardo, tale Luigi Carta, 65 anni, soprannominato “Lupo Solitario”, detenuto nel carcere di Venezia per una tentata rapina con sparatoria ai danni di un portavalori in un centro commerciale di Mestre.

In passato Lupo Solitario, così chiamato perché avrebbe sempre agito da solo, era stato condannato a 10 anni di reclusione dal tribunale di Udine per la rapina della Banca di Credito cooperativo di Manzano del 9 dicembre 2008:

L’avvocato Alessandro Gamberini

” Siamo sconcertati dalla sentenza – ha detto l’avvocato difensore dell’imprenditore, Alessandro GamberiniPaolo Calligaris non può aver ucciso Tatiana Tulissi: i tempi non collimano e i botti sentiti dal testimone principale non sono spari di pistola. E poi, su quell’omicidio, c’è la firma di Luigi Carta. La tecnica è la stessa utilizzata da Carta in due rapine in villa nella stessa zona pochi mesi prima: spranga in una mano e pistola nell’altra. Quel giorno la vittima reagì e cercò di difendersi…”.

Evidentemente i giudici di Venezia sono stati di tutt’altro avviso e hanno condannato il mobiliere manzanese che ricorrerà in Cassazione.

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