La fine della famiglia tradizionale impone di pensare a nuovi modelli di coabitazione che scoraggino l’isolamento generazionale.
Roma – E’ possibile la coabitazione tra giovani e anziani? La penuria di abitazioni sta diventando un vero e proprio problema sociale. Come la salute delle persone “anziane”, sia per i costi, sul groppone del Sistema Sanitario Nazionale (SSN) che per i disagi familiari. La scienza ha stabilito che la salute degli anziani è strettamente legata all’ambiente in cui si vive. In alcuni Paesi dell’Unione Europea (UE) e negli USA sono stati utilizzati dei modelli di coabitazioni tra giovani e anziani. Di questa tematica si è discusso nel recente Congresso Nazionale del Notariato, svoltosi a Roma dal 26 al 28 ottobre scorsi, dal titolo “La casa non è abitare: il rovescio del diritto”. L’Italia, essendo una nazione di estrazione contadina, almeno fino al boom economico degli anni ’60 del secolo scorso ha avuto una consolidata tradizione di convivenza tra anziani e giovani in famiglia.
Oggi, invece, oltre 2,8 milioni di persone sono anziani non autosufficienti che sono concettualmente molto lontani dal 5,6% di giovani svantaggiati, disoccupati e con bassa formazione culturale, ad un passo dal baratro della povertà assoluta. L’avvento di Internet non ha fatto altro che peggiorare la situazione, in quanto ha aumentato l’individualismo e la possibilità di stabilire una relazione tra il giovane e l’anziano si è fatta sempre più ridotta. Inoltre hanno inciso anche il prolungamento degli orari di lavoro, i mutamenti dei modelli di famiglia e l’emigrazione alla ricerca del lavoro, che impoverisce numericamente la famiglia originaria. Sono tutti aspetti di un fenomeno sociale, che hanno un ruolo decisivo in quella che è una sorta di isolamento generazionale.
Secondo le direttive europee, il governo dovrà redigere entro il mese di marzo del prossimo anno i decreti attuativi a favore delle persone anziane, affinché possano godere di una vita dignitosa, in uno stato di benessere. Retorica allo stato puro. Si spera, comunque, che alle parole seguano i fatti! L’aspetto più interessante delle direttive europee è la “riqualificazione del processo di semiresidenzialità”, il cosiddetto “co-housing”. Su questo punto, come sempre, siamo indietro rispetto ad alcuni Paesi europei e agli USA. Con questa definizione si intende una sorta di condominio che è costituito da un gruppo di vicini che partecipano alle stesse finalità.
Queste persone hanno delle loro singole abitazioni, ma rientrano anche all’interno di una condivisione di spazi, di tempi, di servizi e di valori. Alcuni studi negli USA hanno constato che gli anziani in contesti del genere mantengono la lucidità mentale per 10 anni in più rispetto a chi vive da solo. E’ chiaro che un modello del genera comporta cospicui investimenti e con la situazione economica che stiamo vivendo, sembra complicato attuarlo. Affinché un siffatto progetto possa sorgere, la coabitazione deve rispettare 3 aspetti identificativi: un progetto di residenzialità in comune vincolante; la reciprocità delle relazioni tra i partecipanti, alla base di una convivenza solidale; la spontaneità.
Ma col governo nazionale, le possibilità che possa impegnarsi in un progetto del genere sono ridotte al lumicino. Anche perché le priorità sembrano altre. Ad esempio far effettuare al Frecciarossa Torino Salerno, una fermata straordinaria a Ciampino per far scendere il ministro dell’agricoltura, sovranità alimentare, foreste e… binari, Francesco Lollobrigida, che poi ha utilizzato l’auto blu per presenziare ad un impegno istituzionale a Caivano (Napoli). Con esponenti simili, il cohousing può aspettare!