Ergastolo al nuovo Caino che bruciò il fratello per i soldi dell’assicurazione

Antonio Martone voleva incassare i 400mila euro delle polizze che aveva fatto firmare a Domenico: per questo lo ha prima stordito e poi bruciato vivo.

SANT’ANTONIO ABATE (Napoli) – Ha bruciato vivo il fratello per rubargli i soldi delle polizze assicurative che lui stesso gli aveva fatto firmare. Poi, una volta intascati poco meno di 400mila euro, sarebbe fuggito in Thailandia con la sua fidanzata per fare la bella vita. Condannato all’ergastolo. La Corte d’Assise di Napoli ha condannato al fine pena mai Antonio Martone, 37 anni, chef di bordo originario di Sant’Antonio Abate. L’uomo era stato arrestato il 12 aprile 2022 con l’accusa di aver ammazzato il fratello Domenico, detto Mimmo, 33 anni, bravo giovane, impiegato stagionale presso una ditta conserviera, ritrovato carbonizzato il 30 marzo dell’anno scorso in un casolare abbandonato i proprietà della famiglia alla periferia di Lettere, sempre nel Napoletano. Il presunto assassino aveva attirato il germano in quel rudere con uno stratagemma ovvero facendogli credere che all’appuntamento ci sarebbero state due belle ragazze pronte e concedere ad entrambi i fratelli qualche ora d’intimità.

Antonio e Domenico Martone

Appena giunti sul posto Antonio avrebbe aggredito Domenico e con mossa fulminea lo avrebbe colpito al capo tramortendolo con un corpo contundente. Resosi conto che il povero Domenico era svenuto il suo aguzzino lo cospargeva di liquido infiammabile dandogli fuoco. Mentre la vittima bruciava Antonio si sarebbe allontanato a piedi dal luogo del delitto, approfittando del buio della sera per non farsi notare in giro. Poco dopo le 21 i carabinieri di Lettere venivano avvisati da alcuni residenti della zona che segnalavano fiamme e una densa colonna di fumo nero provenienti da un terreno agricolo alla periferia del Comune partenopeo. I militari giungevano tempestivamente sul posto trovando il corpo di Domenico ancora avvolto dalle fiamme. Scattavano subito le indagini ad opera dei carabinieri della Compagnia di Castellammare di Stabia e coordinate dal procuratore di Torre Annunziata, Nunzio Fragliasso.

Gli investigatori ispezionavano la zona e individuavano l’auto di Antonio parcheggiata in una sterrata di campagna distante un tiro di schioppo dal luogo del delitto. I carabinieri risalivano ad Antonio Martone grazie al Green-pass lasciato esposto sul parabrezza anteriore della vettura oltre a diversi altri indizi. I video delle telecamere di sorveglianza pubbliche e private davano conferma alle intuizioni degli uomini dell’Arma che, verificato l’orario del delitto, stabilivano che lo chef si trovava sulla scena del crimine da dove si sarebbe allontanato a piedi, sicuro di farla franca. Ammazzando il fratello in quella maniera brutale e dopo avere inscenato un impossibile suicidio il cuoco era convinto di intascare i soldi delle due assicurazioni sulla vita che egli stesso, un anno prima, aveva fatto contrarre al fratello e il cui contratto lo vedeva come unico beneficiario.

Il casolare alla periferia di Lettere dove è avvenuto il brutale omicidio

Il killer aveva anche studiato, cercando le varie strategie su Google, come uccidere il congiunto e intascare il bottino a soli 13 giorni dalla morte dell’operaio ovviamente senza riuscirci. Per il marittimo scattava l’arresto eseguito dai carabinieri nella sua abitazione di Sant’Antonio Abate dove erano pronte le valigie per fuggire verso quella meta esotica che non avrebbe mai raggiunto.  Dopo le incombenze di rito l’indagato per omicidio volontario aggravato e distruzione di cadavere, oltre ad altri reati accessori, veniva trasferito nel carcere di Poggioreale.

I carabinieri dopo il rinvenimento del cadavere

L’autopsia confermava che la vittima sarebbe stata bruciata mentre era ancora viva. Poi il processo di primo grado che si con concludeva con l’ergastolo: Come Caino e Abele diceva il pubblico ministero Emilio Prisco, durante la sua requisitoria prima del verdetto di condanna ma non è tutto. Il presunto assassino, ascoltato a sua insaputa dai carabinieri durante un colloquio telefonico, si dava la zappa sui piedi profferendo una frase che non lasciava spazio a dubbi. Anzi prestando il fianco ad altre ipotesi di reato: “Se scampo anche questa, o faccio la botta o mi ammazzo solo io, o posso prendere il posto di Lupin”. Salvo il ricorso in Appello lo chef di natanti da crociera è finito in galera con il carcere a vita. Dietro le sbarre trascorrerà i migliori anni della sua vita, salvo sconti di pena, permessi premio e possibilità di lavoro in qualche ristorante esterno al penitenziario.

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