Esce prima perchè la cella gli calzava stretta

Adalberto Chignoli, condannato per l’omicidio della figlia, beneficia di un ulteriore sconto di pena grazie alle condizioni carcerarie precarie e alla legge sulla detenzione inumana.

PADOVA – Il nostro è davvero un Paese bizzarro. Anzi un Bel Paese zeppo di contraddizioni e di leggi che sembrano redatte da Topolino e non da legislatori che affollano gli scranni di Camera e Senato. Se cosi non fosse un assassino non dovrebbe godere di un ulteriore sconto di pena perché la sua cella non era della giusta misura. Invece Adalberto Chignoli, 72 anni, condannato in via definitiva per l’omicidio della figlia Camilla di 21 anni, finirà di espiare la sua punizione in anticipo non solo per buona condotta, ma anche perché la legge italiana gli riconosce il “rimedio risarcitorio” causato dalla reclusione in una cella troppo piccola.

Camilla Chignoli

L’1 ottobre del 2007 Chignoli, nella sua casa di via Vecellio 1, nel quartiere Arcella, uccise la figlia Camilla con cinque colpi di pistola alla testa e tutti sparati alle spalle. Un gesto terribile che l’uomo non è riuscito mai a spiegare dunque un delitto senza movente che lo aveva portato, nelle ore successive alla mattanza, a suicidarsi con la stessa arma ma la pistola si era inceppata e l’uomo riuscì ad avere salva la vita. L’ex bancario, poi diventato promotore finanziario, veniva arrestato la stessa notte dell’omicidio a seguito di una breve fuga durata solo qualche ora e finita a pochi passi da casa.

Nell’abitazione i poliziotti della Mobile ritrovarono il corpo esanime della giovane donna riverso sul pavimento, tra l’armadio e il letto, in un lago di sangue. L’uomo, una volta catturato, disse di non ricordare nulla e, messo alle strette, riferiva agli inquirenti di non sapere il perché avesse ammazzato in quella maniera orribile la povera figlia, riconoscendo però di essere un mostro con qualche parola di pentimento e di rimorso. Il 24 novembre 2008 l’uomo era stato condannato in primo grado a 30 anni con rito abbreviato davanti al Gup, condanna poi confermata in Appello nel febbraio 2010, ma poi annullata dalla Cassazione e riconfermata dal medesimo massimo consesso giudiziario nel marzo 2012.

La polizia sotto casa dell’assassino poco dopo l’omicidio

Adalberto Chignoli sta scontando la sua pena nel carcere Montorio di Verona e usufruisce da tempo di permessi di lavoro e potrà ottenere un ulteriore sconto di pena grazie alla buona condotta. Oltre a questi benefit il detenuto ha la possibilità di vedersi riconosciuto quanto stabilito dal Decreto legislativo n. 92 del 2014 (poi convertito in legge n. 117 del 2014 in tema di interventi in materia penitenziaria) il quale, in ottemperanza alle direttive della Corte europea dei Diritti dell’uomo nei confronti dello Stato italiano, stabilisce un ulteriore sconto di pena pari a un giorno dietro le sbarre ogni dieci trascorsi in celle inferiori ai tre metri quadrati.

Infatti Chignoli, tra il 2007 e il 2010 in periodi non continuativi, ovvero durante il periodo di custodia cautelare, sarebbe stato ospite delle patrie galere in celle più striminzite di quelle consentite. Dunque il padre degenere uscirà dalla galera come uomo libero molto prima del 2033, cioè con 3 anni e 7 mesi di anticipo. Ironia della sorte, ed è giusto evidenziarlo, la normativa è stata varata a fronte di un’ennesima condanna per l’Italia in tema di restrizioni e detenzione per i carcerati. Il Bel Paese, infatti, ha pagato a caro prezzo per il trattamento inumano riservato ai detenuti che hanno trascorso tutta o parte della pena in condizioni inumane, vale a dire in celle nelle quali lo spazio a disposizione per persona sia stato inferiore a quanto previsto dall’ordinamento penitenziario e dai regolamenti carcerari.

Il carcere di Padova dove è detenuto Chignoli

Detto decreto ha introdotto il rimedio giurisdizionale di carattere risarcitorio del danno patito dalle persone detenute e internate in condizioni contrarie alla dignità e all’umanità, in violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo. In pratica laddove il trattamento in condizioni disumane si sia protratto oltre i 15 giorni esistono due possibilità di risarcimento: la diminuzione di un giorno di carcere per ogni 10 giorni sofferti in condizioni disumane oppure il rimborso al detenuto di 8 euro per ogni giorno di carcerazione non conforme ai dettami della dignità e dell’umanità. Adalberto Chignoli ha scelto la prima soluzione.

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