Shabbar collegato in rete ma non parla

L’atteso collegamento telematico con il padre di Saman Abbas è finalmente avvenuto ma l’imputato fa scena muta. Il processo continua ma nessuna notizia di Nazia Shaheen che rimane latitante.

NOVELLARA (Reggio Emilia) – Dopo un rinvio dietro l’altro il 19 maggio scorso il padre di Saman Abbas, la ragazza di 18 anni morta ammazzata i cui resti sono stati ritrovati in una buca, si è collegato per via telematica da Aslamabad, in Pakistan, con il tribunale di Reggio Emilia. Shabbar Abbas, 48 anni, ex impiegato dell’azienda agricola “Le Valli” di Novellara dove lavorava sino alla fuga con la moglie Nazia Shaheen, tuttora unica latitante, è imputato per omicidio insieme i parenti Danish Hasnain, Ikram Ijaz e Numanhulaq Numanhulaq. Dopo numerosi rifiuti, giustificati alla meno peggio, Abbas si è presentato davanti alla telecamera di un Pc al cospetto della presidente del tribunale reggiano, Cristina Beretti, visibilmente soddisfatta:

Il processo a carico dei familiari della studentessa pachistana

”E’ stata dura, ma ce l’abbiamo fatta”, ha detto il magistrato. Alle 11.24 l’imputato pakistano è apparso sullo schermo installato nell’aula di Corte d’Assise dove dal 10 febbraio scorso si svolge il processo per l’omicidio della povera Saman, sparita nella notte fra il 30 aprile e il primo maggio del 2021. Abbas ha avuto prima del collegamento intercontinentale con il tribunale un colloquio con i suoi legali italiani, gli avvocati Enrico Della Capanna e Simone Servillo, poi si è proseguito con i rituali preliminari che si svolgono alla presenza di un cittadino straniero: ”Lei parla italiano?” ha chiesto il giudice all’imputato.

“Poco” ha risposto Shabbar, che è stato affiancato da un interprete urdu-italiano. Una volta confermati i dati anagrafici dell’imputato il giudice Beretti ha dichiarato riunificata la sua posizione al procedimento principale che vede alla sbarra gli altri 4 congiunti, di cui una latitante e attivamente ricercata, dicono le autorità pakistane. Il processo è poi proseguito con la testimonianza del maresciallo del nucleo Investigativo dei carabinieri di Reggio Emilia, Cristian Gandolfi.

L’abitazione della famiglia Abbas dove Saman ha vissuto le ultime ore della sua vita

Il militare ha ripreso l’analisi, iniziata nella scorsa udienza, dei tabulati telefonici e delle utenze in uso ai familiari della vittima che sono stati utili alle indagini per dimostrare le chiamate e gli orari di questi prima e dopo la sparizione di Saman nelle campagne di Novellara. Il sottufficiale ha poi raccontato i particolari emersi dalle riprese effettuate dal sistema di videosorveglianza dell’azienda agricola nelle pertinenze della quale abitava Saman con la sua famiglia e dove avrebbe trascorso le ultime ore della sua vita prima di seguire, con l’inganno, i suoi genitori che l’avrebbero portata a morte.

La telecamera installata su una casa rossa ubicata 50 metri dalla casa degli Abbas, in via Colombo 103, ha registrato il padre di Saman mentre si dirigeva verso il casolare di Danish, considerato l’autore materiale del delitto e colui il quale, dopo mesi dalla scomparsa, ha fatto ritrovare la salma della nipote. Secondo la Procura di Reggio Emilia il colloquio tra i due uomini, durato circa un’ora, è servito proprio per mettere a punto il piano criminale per uccidere la studentessa “colpevole” secondo tutta la famiglia di fondamentalisti islamici di essersi sottratta ad un matrimonio combinato.

Saman Abbas

Le telecamere mostrano anche il fratello minore di Saman mentre tenta di mettersi in contatto con il padre Shabbar, forse per sventare il piano e salvare cosi la sorella. Il giovane, in bicicletta, si sarebbe diretto verso casa dello zio Danish, poi sarebbe tornato indietro. E che si stesse per preparare una sorta di trappola per Saman a cui sarebbe seguita la sua eliminazione era cosa nota a tutta la famiglia Abbas. Persino la sorella dell’imputato in teleconferenza, Shamsa Batool, residente nel Regno Unito, avrebbe saputo dell’omicidio della ragazza per motivi religiosi. Lo ha raccontato nella precedente udienza il comandante nucleo Investigativo dei carabinieri di Reggio Emilia, maggiore Maurizio Pallante.

Attraverso un messaggio vocale della donna gli inquirenti hanno capito di essere sulla pista giusta ovvero quella del delitto d’onore. Il resoconto della scorsa udienza è stato notevolmente rallentato dalla traduzione simultanea dell’interprete per fare meglio comprendere ad Abbas l’argomento trattato. L’uomo non ha reso alcuna dichiarazione: “Sarà complicato, ma portiamo pazienza” ha detto ancora il giudice Beretti. E di pazienza, in questo processo, ce ne vorrà tanta perché non sarà facile giungere alla verità.

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