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E i reati scompaiono…per legge

Il divieto di comunicare informazioni sulla presunta colpevolezza dei soggetti coinvolti in un’indagine rischia di minare la libertà d’informazione e la trasparenza nella gestione della pandemia da Covid-19 in Italia. Ma non solo.

Roma – I reati scompaiono per legge! L’Italia è proprio uno strano Paese: da patria dell’illuminista Cesare Beccaria, autore del famoso pamphlet Dei delitti e delle pene, pubblicato nel 1764, un breve trattato sull’accertamento dei delitti e sulle pene allora in uso, a nazione dove i reati non esistono, scomparsi per legge. Qualche settimana fa la procura di Bergamo ha diffuso un risicato comunicato stampa sull’inchiesta relativa alla prima ondata del Covid. Ebbene, sembra siano stati i fantasmi.

Non compare alcun nome di indagati e nemmeno il tipo di reato eventualmente commesso. Questo è il risultato della decisione del Governo Draghi, che col pretesto della presunzione d’innocenza, ha, di fatto, imbavagliato la comunicazione di magistrati ed investigatori. Infatti, quest’ultimi si trovano sotto la spada di Damocle di essere sottoposti a procedimento disciplinare per violazione della nuova normativa dell’ex Ministro della Giustizia, Marta Cartabia.

Mario Draghi

I nomi degli indagati sono venuti fuori grazie al “fiuto” dei cronisti, che almeno per una volta hanno dimostrato di saper fa il proprio lavoro. Per la cronaca si tratta dell’ex Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, l’ex Ministro della Salute Roberto Speranza e del Presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana. Ecco il comunicato stampa riportato a grandi linee:

“Questo ufficio di Procura in data 20 febbraio ha concluso le indagini nei confronti di 17 persone che, a vario titolo, hanno gestito la risposta alla pandemia da Covid 19”. Un comunicato che dice tutto e niente, che non sta né in cielo, né in terra! Invece, sappiamo che si tratta di un’inchiesta molto importante che l’opinione pubblica avrebbe tutto il diritto di conoscere e, soprattutto, come si ricorderà, sapere chi ha deciso di non imporre immediatamente la zona rossa in Val Seriana.

Cose normali in una democrazia, ma da noi sono complicate da attuare! Ovviamente la responsabilità non è ascrivibile alla procura, ma al cosiddetto “decreto bavaglio” del Governo Draghi. Col pretesto della presunzione d’innocenza, si è vietato a pubblici ministeri e investigatori di dare notizie ai giornalisti. L’unico deputato a farlo sarebbe il procuratore capo che in base ad una sua valutazione discrezionale decide se ci sono motivi di interesse pubblico per diffondere un comunicato. Una sorta di redattore capo che decide cosa va pubblicato e cosa no.

Ma non è finita qui, perché viene vietato alle autorità pubbliche di indicare come colpevole chi è sottoposto a indagini fino all’accertamento della colpevolezza con sentenza di condanna irrevocabile. L’effetto pratico è che i magistrati per evitare noie e di subire sanzioni disciplinari, diffondono comunicati pieni di nulla, senza indagati e senza ipotesi di reati. Già in passato si è tentato di mettere sotto controllo la libertà di informazione.

Basti ricordare tutto il dibattito sulle intercettazioni e su quelle da pubblicare, oppure omettere. Adesso censurano direttamente le fonti ed il gioco è fatto. Se a questi tentativi si aggiunge la precarietà lavorativa di molti operatori dell’informazione, si comprende che rischio sta correndo uno dei capisaldi delle democrazie, la libertà di stampa, di informare e di essere informati. Senza dimenticare che come recita l’articolo 21 della Costituzione: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. A buon intenditore!…

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