L’uomo era cambiato dopo la morte del giovane figliolo e vedeva nemici dappertutto. Aveva raccolto in un blog decine e decine di fotografie che ritraggono rifiuti speciali, tossici e nocivi abbandonati, a suo dire, in determinate aree del vasto condominio fra Ascrea e Rocca Sinibalda in provincia di Rieti.
Roma – Quella pistola è uscita troppo facilmente dal poligono di tiro. Maggiori controlli, forse, avrebbero evitato la strage. Il problema delle armi si fa serio e occorre subito un giro di vite specie nei riguardi di chi ha ottenuto il diniego di porto d’armi. Come nel caso di Claudio Campiti, 57 anni, ex assicuratore e disoccupato con reddito di cittadinanza sino all’anno scorso.
L’uomo, separato e padre di un figlio di 14 anni deceduto nel 2012, ha ammazzato quattro donne ed ha ferito altrettante persone con lucida determinazione e preparando a tavolino il piano criminale in tre passi: recupero dell’arma, strage e fuga all’estero. Infatti Campiti si alza di buon mattino e lascia il rudere dove vive presso il Consorzio Valle Verde, fra Ascrea e Rocca Sinibalda, in provincia di Rieti, dirigendosi verso Roma con la sua vecchia Ford Kia.
Alle 8.55 l’uomo si presenta al poligono di Tor Di Quinto dove trafuga una Glock calibro 45 con 170 proiettili. Al poligono lo conoscono tutti e nessuno lo controlla poiché Campiti lo frequenta da anni con ottimo profitto. L’ex assicuratore è un eccellente tiratore ed è un abbonato Platinum, formula che gli consente di fare un po’ quello che vuole. Come andare dall’armeria alle linee di tiro senza alcun controllo. Basta una carta d’identità depositata all’ingresso e il gioco è fatto.
All’uscita non c’è il metal detector dunque a chi volete che venga l’idea di verificare se una persona esce armata o meno? Tutte queste cose Claudio Campiti le sa bene e una volta uscito dal tiro a segno non ci mette molto a raggiungere il bar-pizzeria “Il posto giusto” di via Monte Giberto, quartiere Fidene, una collina zeppa di palazzi popolari sulla Salaria, dove era in corso l’annuale riunione del condominio Consorzio Valle Verde. Sono le 9.30 circa e inizia la mattanza.
L’ex assicuratore entra dentro il bar annunciando la sua missione di morte: ”Vi ammazzo tutti”. In rapida successione cadono a terra, come birilli, in un lago di sangue, Sabina Sperandio, 71 anni, Elisabetta Silenzi, 55 anni, segretaria contabile del Consorzio; Nicoletta Golisano, 50 anni, e Fabiana De Angelis, 50 anni, commercialista, deceduta lo scorso 13 dicembre per sopraggiunte complicazioni durante il ricovero in ospedale. Quattro donne centrate in pieno dalla gragnuola di proiettili che escono dalla sua Glock fumante che non smette di sparare. Dentro il panico si impossessa di tutti e trenta i presenti. C’è che urla e chi impreca ma il killer non si ferma e spara ancora.
Ferisce gravemente altre tre persone poi viene affrontato e disarmato prima da un condomino di 67 anni, anche lui tra i feriti, poi da altri uomini che lo immobilizzano sino all’arrivo dei carabinieri. I militari troveranno nell’auto di Campiti uno zaino contenente il passaporto e 6mila euro in contanti che sarebbero serviti all’uomo per fuggire all’estero. Il killer era cambiato d’umore e nel comportamento, dapprima irreprensibile, dopo la separazione dalla moglie e, soprattutto, dopo la perdita del figlio Romano, 14 anni, morto in un incidente sulla slitta nel 2012 a Sesto, in provincia di Bolzano.
Il tribunale aveva condannato un maestro di sci e due responsabili del centro sciistico nel 2016 mentre l’anno dopo la Corte d’Appello aveva confermato la sentenza e il risarcimento di 240mila euro per la famiglia. Poi l’acquisto della palazzina mai completata all’interno del Consorzio i cui associati pare siano sempre venuti incontro alle esigenze di Campiti che iniziava a minacciarli di gravi ritorsioni sino a costringerli a diverse denunce. Gli esposti ai carabinieri e alla Procura di Rieti avevano causato il mancato rinnovo del porto d’armi che Campiti considerava un ulteriore attacco contro di lui.
Poi le diffide per morosità e una vita fatta di stenti e odio avrebbe accresciuto nell’uomo una rabbia smisurata contro tutti i consociati di Valle Verde che l’ex assicuratore chiamava “mafiosi” sia di presenza, quando li incontrava, sia attraverso un blog pieno di insulti, minacce e presunti torti subìti. Poi il piano di morte maturato nella sua mente ormai in tilt. Il Pm Giovanni Musarò, ha contestato all’indagato l’accusa di quadruplice omicidio volontario, con le aggravanti della premeditazione e dei futili motivi, e il triplice tentato omicidio per le persone rimaste ferite. Fine della corsa.
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