Vi ammazzo con le pennette al nitrito

Il giovane, da subito, aveva addossato la colpa alla madre per poi confessare il disegno criminoso in secondo grado di giudizio. L’imputato non ricorre in Cassazione dunque sconterà 30 anni di carcere. Il difensore auspica in futuro un riavvicinamento con la famiglia.

CASALECCHIO DI RENO (Bologna) – Non ricorre in Cassazione dunque la condanna di secondo grado a 30 anni di reclusione diventa definitiva per Alessandro Leon Asoli, il giovane di 21 anni colpevole di avere ucciso il patrigno Loreno Grimaldi, 56 anni, e ridotto in fin di vita la madre Monica Marchioni di 52 anni.

La tragedia si era consumata il 15 aprile 2021 a Ceretolo, frazione di Casalecchio di Reno, in provincia di Bologna, dove abitavano i tre congiunti. Intorno alle 22 il giovane, dopo varie insistenze, decideva di preparare la cena a base di pennette al salmone, come primo piatto. Per motivi mai chiariti ma forse per una decisa avversione contro il patrigno e la madre Alessandro Leon “condiva” la pasta  con del nitrito di sodio, un noto conservante per salumi e carne che ad alti dosaggi diventa letale bloccando l’ossigeno nel sangue. Subito dopo aver mangiato tutta la pasta Grimaldi, disteso sul salotto di casa, accusa forti dolori allo stomaco mentre Alessandro, ad alta voce, attirava la madre in cucina.

Loreno Grimaldi

Anche la donna stava poco bene ma avendo mangiato solo qualche forchettata di quella pasta troppo salata riuscirà a scampare alle morte:

”Alessandro sembrava colpito da una crisi di nervi – racconta Monica Marchioni – e gridava come un forsennato: “Ecco, io non sono capace neppure di preparare la cena, hai ragione a dirmi che sono un fallitoNel frattempo mi chiedeva di raggiungerlo nella sua stanza per aiutarlo a calmarsi. Aveva acceso lo stereo ad alto volume, in modo tale da impedire che riuscissi a sentire i lamenti di dolore di Loreno…Mi abbracciava, mi diceva resta qui, mi sembrava strano questo atteggiamento tanto affettuoso non era da lui. E quando gli ho detto che sarei andata a vedere come stava Loreno di là, allora è scattato. Mi è saltato al collo tentando di soffocarmi e urlandomi in faccia “neanche il veleno ti ammazza”.

Nel frattempo, in salotto, Loreno Grimaldi spirava per effetto del veleno e a nulla hanno potuto le manovre di rianimazione dei soccorritori del 118 che, assieme ai carabinieri, allertati dai vicini di casa che avevano sentito le urla dei tre congiunti, erano giunti nell’abitazione di Ceretolo ormai troppo tardi. La donna veniva trasportata in codice rosso all’ospedale Maggiore, mentre l’uomo arrivava in ospedale ormai cadavere.

L’abitazione dove vivevano i tre congiunti

Dapprima Alessandro Leon si dichiara innocente davanti al Pm Rossella Poggioli addossando ogni colpa alla madre che si salverà grazie alle cure immediate e alla limitata dose di veleno assorbita dal suo organismo. Poi il processo di primo grado che, nonostante la reiterata innocenza dell’imputato, si concludeva con una condanna a 30 anni di reclusione con il Pm che aveva chiesto l’ergastolo. Poi, in secondo grado, il giovane ritrattava la precedente versione dei fatti e ammetteva le proprie responsabilità, con grande stupore dell’avvocato di parte civile Marco Rossi:

“Non ci aspettavamo questa confessione, perché l’imputato è sempre stato risoluto nel raccontare la sua versione dei fatti durante il processo di primo gradoaveva detto Rossi – drammaticamente diversa perché ha sempre accusato la madre. Secondo me questa confessione da un punto di vista processuale è assolutamente tardiva e ininfluente, non merita una scontistica di pena. Purtroppo la Corte d’Assise d’Appello ha deciso di confermare la condanna a 30 anni…”.

Monica Marchioni ed il compagno Loreno Grimaldi

In aula Alessandro Leon Asoli, con le lacrime agli occhi, aveva snocciolato la verità davanti a tutti:

“Oggi voglio dire la verità – aveva detto il giovane imputato – Sono stato io a fare ciò di cui mi accusano. Mi spiace parlare solo ora, non l’ho fatto prima perché avevo paura. Voglio assumermi le mie responsabilità e chiedere scusa alle persone a cui ho fatto del male. Spero che mia madre possa perdonami e di poter avere una seconda possibilità”.

Poi la decisione di non ricorrere al giudizio degli Ermellini:

”Il percorso di resipiscenza del mio assistito ha certamente inciso su questa decisione di non presentare ricorso – ha evidenziato il difensore, avvocato Davide Bicocchi – Se anche avessimo scelto di affrontare un altro grado di giudizio, la motivazione dell’eventuale ricorso avrebbe potuto condurre ad una richiesta di rideterminazione della pena…Adesso occorre un tentare un riavvicinamento alla famiglia…”.

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