Il 12 novembre 2003 il nostro contingente in Iraq subiva il più grave attentato nei confronti di truppe italiane dalla fine del secondo conflitto mondiale.
Roma – Massimiliano Bruno, Giovanni Cavallaro, Giuseppe Coletta, Andrea Filippa, Enzo Fregosi, Daniele Ghione, Horacio Majorana, Ivan Ghitti, Domenico Intravaia, Filippo Merlino, Alfio Ragazzi, Alfonso Trincone, Massimo Ficuciello, Silvio Olla, Alessandro Carrisi, Emanuele Ferraro, Pietro Petrucci, Marco Beci e Stefano Rolla. I 19 italiani spazzati via dall’attentato kamikaze contro la Base Maestrale di Nassiriya (12 carabinieri, cinque militari dell’esercito e due civili) nei vent’anni passati da quell’orrendo bagno di sangue, nelle strade e nelle piazze del Paese sono ricordati come i “Martiri di Nassiriya“, omaggio collettivo ai caduti nel più grave attentato per numero di vittime nei confronti di truppe italiane dalla fine del secondo conflitto mondiale.
Era il 12 dodici novembre 2003, ore10.40 (le 8.40 in Italia). Il kamikaze al volante viene prontamente abbattuto davanti all’entrata, ma è troppo tardi. Lanciata a tutta velocità, l’autocisterna, con a bordo l’altro attentatore, prosegue la sua folle corsa, penetrando con il suo carico di morte (dai 150 ai 300 chilogrammi di esplosivo) all’interno della Base Maestrale. Esplode anche il deposito di munizioni. Il boato è assordante, si avverte a oltre dieci chilometri di distanza. Quando si deposita a terra la povere sollevata dalle macerie emerge la distruzione.
Parte dell’edificio principale della Base Maestrale, una delle due sedi dell’operazione antica Babilonia (la missione italiana di pace in Iraq), è letteralmente sventrato. A terra, intorno alle carcasse annerite dei mezzi militari, i frammenti di vetro delle finestre cospargono tutto il cortile. In mezzo, a pochi metri dall’edificio, il cratere scavato dall’esplosivo. Se i terroristi volevano fare il maggior numero possibile di vittime, il loro macabro obiettivo fu raggiunto; 28 morti, di cui 19 italiani. Accorso sul luogo dell’attentato l’allora ministro della Difesa Antonio Martino, non ebbe esitazioni: «Quel cratere è il nostro Ground Zero».
Vent’anni dopo non resta che unirsi all’appello lanciato dai familiari delle vittime perché quel cratere di allora non diventi l’emblema di un oblio contemporaneo. E’ ora che venga finalmente concessa la medaglia d’oro al valor militare fino ad oggi non riconosciuta ai martiri di Nassiriya.