La decisione di Lloyd Austin, dopo le polemiche. Ora lui e i suoi due presunti complici rischiano nuovamente la condanna a morte.
New York – Il capo del Pentagono, Lloyd Austin, ha revocato l’accordo di patteggiamento raggiunto nei giorni scorsi con la mente degli attacchi dell’11 settembre e due presunti complici, che – in cambio della loro dichiarazione di colpevolezza – avrebbero evitato la pena capitale. Ora i tre rischiano nuovamente la condanna a morte. Austin ha anche sollevato dall’incarico il supervisore del tribunale di guerra di Guantanamo Bay. L’accordo aveva suscitato forti polemiche, da parte delle famiglie delle vittime e dei repubblicani.
Il cervello delle stragi dell’11 settembre, Khalid Shaikh Mohammed, e due dei suoi complici hanno accettato di dichiararsi colpevoli in cambio del carcere a vita, evitando così un processo a Guantanamo che si sarebbe potuto concludere con la condanna a morte. Fonti del New York Times, che per primo aveva dato notizia dell’accordo, avevano spiegato che l’intesa, raggiunta dai complici di Osama bin Laden in ben 27 mesi di negoziati, sarebbe servito a dare “un senso di chiusura e di giustizia” alle famiglie delle vittime delle stragi di Al Qaida.
Ma il Pentagono ha annunciato la decisione con la pubblicazione di un memorandum che solleva l’alto funzionario del Dipartimento della Difesa responsabile delle commissioni militari dalla sua supervisione del caso contro Khalid Shaikh Mohammed e i suoi presunti complici Walid bin Attach e Mustafa al-Hawsawi per gli attacchi che hanno ucciso quasi 3mila persone a New York City, al Pentagono e in un campo della Pennsylvania.
Il supervisore, il generale di brigata in pensione Susan K. Escallier, aveva firmato un accordo preliminare con i tre imputati offrendo loro una pena all’ergastolo in cambio della loro dichiarazione di colpevolezza. Nell’atto di revoca, Austin ha annullato l’accordo e ha assunto la supervisione diretta del procedimento, ripristinandolo di fatto come caso da pena capitale. A causa della posta in gioco coinvolta, la “responsabilità di tale decisione deve ricadere su di me”, ha spiegato il segretario alla Difesa.