A Hong Kong si combatte in trincea e all’assalto per conquistare la libertà
Novembre è un mese notoriamente difficile per gli universitari italiani: è tempo di “parziali”, spicchi di esami che sanciranno, per coloro che li passeranno, l’ammissione agli esami generali di dicembre e gennaio. L’aria all’interno delle università pare essere più pesante del solito, mentre gli sguardi degli studenti assomigliano a quelli degli eroi dello sbarco in Normandia: viso opaco per la paura, iridi scintillanti pronte per combattere. Ma gli universitari italiani dovrebbero pensare ai loro colleghi di Hong Kong, realmente catapultati in una vera guerra, quella contro le forze dell’ordine.
L’atmosfera al politecnico di questa metropoli orientale è davvero quella degli scenari di guerra: l’aria è stata appesantita dai lacrimogeni della polizia e gli studenti, con lo stesso volto dei loro colleghi occidentali, si preparano alla battaglia, stavolta non per un semplice esame, ma per la loro libertà.
Per comprendere meglio questa situazione occorre però fare un passo indietro e ricostruire la storia che ha portato Hong Kong ad essere una delle regioni più discusse d’Oriente. Tutto iniziò nel 700, quando la Compagnia britannica delle Indie orientali (le multinazionali di allora) stabilì la sua sede a Canton, in Cina del sud. La Gran Bretagna divenne in poco tempo il maggior esportatore di oppio in Cina, motivo per cui iniziarono i dissapori con l’impero della dinastia Qing. Nell’800 iniziò una vera e propria guerra, definita “dell’oppio”, che portò gli inglesi ad occupare l’isola di Hong Kong. L’annessione fu ufficializzata nel 1842 e nel 1860 fu aggiunta anche la penisola Kowloon, distretto urbano dell’attuale regione di Hong Kong. Nel 1898 la Cina si impegnò a concedere la regione per 99 anni agli Inglesi, che in poco tempo la trasformarono in uno dei territori più floridi d’Oriente, fino a farla diventare, nel tardo Novecento, una delle famose “tigri asiatiche”.
Hong Kong ha una moneta propria, le sue leggi si basano sulla common law inglese e l’educazione è ricalcata su quella del sistema britannico; pare chiaro che sia diventata una frazione d’Occidente traslocata a migliaia di chilometri dal vecchio continente.
Nel 1949, con la nascita della Repubblica popolare cinese, di stampo comunista, moltissimi cinesi emigrano a sud, nel “regno della democrazia e del liberismo economico”; la regione si riempie di manodopera, che, coadiuvata con un sistema economico e scolastico occidentale, la trasforma nel quarto centro finanziario più importante del mondo. Nel 1984 gli Inglesi decidono di accordarsi nuovamente con la Cina, poiché l’accordo dei 99 anni sta per giungere al termine. Si procede un con trattato definito “un Paese, due sistemi”, in cui viene sancito che Hong Kong rimarrà comunque dotata di uno statuto autonomo fino al 2042 e la Cina si impegna a non influenzare la regione col proprio sistema socialista. Dal 1997 Hong Kong torna cinese (fine dell’accordo dei 99 anni), divenendo quindi “regione ad area speciale”; da questo momento iniziano i guai.
La Cina, forte della nuova disposizione di Hong Kong, inizia a intromettersi lentamente negli affari interni della regione, cosi da poter innescare un processo che la trasformi lentamente in un tassello del proprio sistema. Oggi più che mai, Hong Kong – con i suoi studenti coraggiosi che chiedono più libertà e democrazia – pare rimasta sola in una terra straniera, come se, per un terribile scherzo del destino, fosse nata nella porzione di mondo sbagliata.