La grande ricorrenza della Resurrezione si celebrerà come mai è stata celebrata specie nella Città Eterna dove il Papa sarà il solo uomo a pregare per i popoli di tutto il mondo nel nome di Cristo.
La Pasqua del 2020 è destinata ad entrare nella storia, per la sua eccezionalità. Stiamo vivendo uno di quei periodi che gli storici chiamano di “discontinuità” una Pasqua-passaggio verso un nuovo paradigma. La pandemia sta mettendo a dura prova la nostra civiltà. La paura del contagio ha interrotto e modificato le relazioni sociali, ha chiuso persino le chiese, ha sospeso le messe e i riti della “settimana santa” che vengono trasmessi solo in streaming. La comunione si fa solo “spiritualmente”, la preghiera invece di essere comunitaria diventa personale e innovativa “liturgia domestica”.
Il Giovedì santo è iniziato con il solenne triduo pasquale con la Messa “In coena Domini” ricordando l’ultima cena di Gesù con i dodici Apostoli ai quali ha lavato i piedi. Nella tradizione cristiana il giovedì santo era il giorno detto “dei sepolcri”, termine improprio per ricordare l’abbellimento dell’altare della “reposizione” dove veniva conservata l’Eucarestia e venerata nel corso della notte, ricordando e rivivendo la preghiera di Gesù nell’orto del Getsemani e dunque accompagnare con il pensiero il processo di Gesù davanti al Sinedrio, la flagellazione e la condanna a morte. Il Venerdì santo, giorno di digiuno e astinenza si commemora la morte di Gesù in croce. Nelle chiese viene adorata la Croce e vengono spogliati anche gli altari ed in chiesa essendo “legate” le campane si faceva scrosciare il crotalo, una tavola con due anelli mobili di ferro. La giornata del Venerdì Santo dal 1965 si conclude con il rito della Via Crucis, ma quest’anno non avrà come scenario il Colosseo, nel ricordo dei martiri cristiani, bensì una piazza San Pietro vuota e deserta dove il Papa solo prega per l’intera umanità, dando voce ai carcerati, e ai nuovi “santi della porta accanto”. Guardando la croce che domina la grande piazza si comprenderà che “non siamo soli, ma amati dal Signore che non abbandona, non si dimentica dell’uomo e ripete “non abbiate paura”.
La solenne Veglia Pasquale del Sabato santo con i simboli liturgici del fuoco, del cero pasquale, dell’acqua battesimale, la liturgia della Parola e dell’Eucarestia rende concreto il segno della risurrezione al canto del “Gloria” con il suono festoso delle campane. La domenica di Pasqua, dopo la messa, il Papa dopo il discorso di augurio pasquale, impartisce la Benedizione “Urbi et Orbi” e quest’anno avverrà in una Piazza San Pietro deserta, immagine del vuoto e della solitudine, che sta suscitando, e non solo nei singoli, il riemergere di un sentimento di solidarietà che sembrava non fare più parte della nostra umanità.
Quest’anno sono vietate le processioni ed è bene ricordare che in diverse città il giorno di Pasqua a mezzogiorno si svolgeva la “processione della Pace”. Due statue una con la Madonna addolorata ed una con il Cristo Risorto, uscivano da due chiese diverse e in zone opposte della città. Percorrevano le vie con la banda festosa che accompagnava il Cristo risorto e la musica del dolore segue a statua della Madonna, ma quando da lontano si intravedeva la statua di Gesù risorto, i portatori correvano veloci e facendo cadere il mantello nero, la Madonna restava con il mantello azzurro, quindi avveniva l’abbraccio tra le due statue e la benedizione dei fedeli al suono festoso delle campane, mentre i genitori alzavano in aria i bambini ripetendo con gioia augurale l’espressione: “Crisci ranni”- che vuol dire “diventa grande e forte”; messaggio di rinascita e di ripresa dei valori trascurati e dimenticati.
La dimensione dell’inatteso e dell’imprevedibile ha occupato il posto di tutte le nostre certezze. Questa pandemia ha reso evidente una volta di più, le fragilità e le piaghe della società: i poveri, i senza dimora, gli anziani, i carcerati, gli squilibri sociali, gli egoismi individuali e nazionali. Dentro questo black-out, che ha prodotto una profonda cesura nella nostra vita ordinaria e nella società del terzo millennio, abbiamo il dovere di tornare a sentire più in profondità il senso dell’esistenza, di trovare il modo per ricominciare a vivere, ripartendo da basi antiche, ma con nuove consapevolezze perché sappiamo che non sarà più come prima.
Il “dopo Coronavirus” sarà certamente diverso. Cambieranno stili e relazioni tra le persone, si manterranno le distanze che non sono “sociali”, bensì di distanziamento fisico tra le persone. Ecco il “dilemma dei porcospini”, come ha scritto Walter Veltroni: si fa fatica a stare accanto agli altri e, di volta in volta, si può far prevalere la paura delle spine dell’altro. Il messaggio e l’annuncio pasquale portano pace, serenità e ci dicono, come ha ripetuto Papa Francesco “che Dio può volgere tutto in bene, che con Lui possiamo davvero confidare che tutto andrà bene”. E’ un auspicio di speranza che guarda lontano e anche se intravede il bagliore della luce rimane il dubbio del dopo. Non sappiamo quali saranno le conseguenze politiche, economiche e sociali del Coronavirus, ma ne misuriamo in questi giorni le conseguenze sulla Chiesa. Una cosa, però, sembra scontata: niente sarà come prima. Per la fase tre dell’operazione emergenza ne vedremo probabilmente “di tanti colori”: auguriamoci un sereno arcobaleno.