Un teste al processo Regeni: “007 egiziani chiesero la copia del suo passaporto”

Ascoltata in modalità protetta per ragioni di sicurezza una donna tedesca che divideva l’appartamento con il ricercatore ucciso e El Sayed.

Roma – Nuovi sviluppi nel processo per fare luce sulla morte di Giulio Regeni. Un presunto appartenente ai servizi segreti egiziani, poco prima di Natale nel 2015, si recò nell’abitazione del ricercatore italiano al Cairo e chiese al suo coinquilino copia del suo passaporto. E’ quanto ha riferito in aula il “teste Beta”, una cittadina tedesca che all’epoca dei fatti divideva l’appartamento con Regeni e Mohamed El Sayed, sentita in modalità protetta per ragioni di sicurezza nell’ambito del processo a carico di quattro 007.

“El Sayed – ha detto il teste – mi ha riferito che un giorno di metà dicembre venne a casa nostra la polizia e chiese copia del documento di Giulio. El Sayed era convinto che questo controllo era stato fatto dalla National Security, il servizio segreto egiziano. Io non ero presente ma lui aveva questa idea e si impaurì per questo”. Nel corso dell’audizione la testimone, che in Egitto lavorava come insegnante di tedesco in una scuola privata, ha raccontato che El Sayed “si scambiò il telefono con l’agente dei servizi e non raccontò della visita a Giulio. Gli disse solo che gli stranieri devono dare documenti e presentarsi alla stazione di polizia. Forse aveva un sospetto che lui aveva fatto qualcosa che non doveva fare”.

Giulio Regeni

A giugno scorso, come era emerso nell’udienza del processo a carico di quattro 007 accusati di avere sequestrato, torturato ed ucciso il ricercatore friulano, la Farnesina aveva trasmesso ai pm di Roma una nota della Procura Generale del Cairo in cui si affermava che è “impossibile eseguire le richieste di assistenza giudiziaria” per fare ascoltare quattro testimoni egiziani nel processo. Il procuratore aggiunto, Sergio Colaiocco, aveva citato per l’udienza di giugno quattro testimoni: tra loro anche il sindacalista Said Abdallah, la coordinatrice di un Centro per i diritti economici e sociali, Hoda Kamel Hussein e Rabab Ai-Mahdi, la tutor di Regeni al Cairo.

Alla luce dell’ennesimo rifiuto da parte delle autorità del Cairo, la Procura capitolina aveva chiesto alla Corte d’Assise di potere acquisire le testimonianze dei testi “assenti” raccolte nel corso delle indagini. “Siamo in presenza di persone che non hanno scelto liberamente di non essere qui. Le abbiamo tentate tutte per portare i testi qui”, aveva spiegato davanti alla Corte d’Assise il rappresentate dell’accusa. Il processo si è aperto a febbraio scorso. Le indagini sull’omicidio del ricercatore italiano vanno avanti da anni, sebbene complicate dall’ostruzionismo delle autorità egiziane.

L’impasse giuridico è stato poi sbloccato da una sentenza della Corte Costituzionale che nel settembre scorso ha disposto l’avvio del processo ritenendo che gli imputati con ogni probabilità siano da ritenere a conoscenza delle accuse a loro carico, anche se irreperibili. La pronuncia della Consulta ha permesso il rinvio a giudizio e l’inizio del dibattimento in aula. Gli imputati sono quattro agenti della National Security.

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