Non per i soldi ma per rabbia e rancore l’avrebbe ucciso sfigurandolo per poi tentare di carbonizzarne il cadavere. Rischia l’ergastolo il figlio degenere.
CUSANO MILANINO (Milano) – Aveva ammazzato il padre a martellate per poi bruciarne il cadavere dentro un capannone. Presunto patricida rinviato a giudizio per omicidio volontario aggravato. Lorenzo D’Errico, 36 anni, dovrà presentarsi davanti ai giudici della Corte d’Assise di Monza il prossimo 19 maggio, per rispondere dell’omicidio del padre Carmine, 65 anni, pensionato, vedovo e malato terminale, ucciso nella sua casa di via Libertà il 30 dicembre 2021.
Sulle prime il figlio degenere aveva denunciato la scomparsa del padre, confermando la sparizione anche davanti alle telecamere di Chi l’ha Visto? L’uomo, infatti, aveva riferito che il genitore se ne sarebbe andato di casa con un trolley per andare a trovare alcuni amici che risiedevano fuori regione. Poi aveva “optato” per l’ipotesi del suicidio ma in entrambi i casi i carabinieri della Compagnia di Sesto San Giovanni, coordinati dalla Pm Franca Macchia, non avevano creduto ad una parola di quelle riferite da Lorenzo che, pertanto, diventava il primo sospettato di quello che poteva essere, a ragione, un omicidio.
Il 21 gennaio, dentro un vecchio capannone abbandonato dell’ex Brenta di Cerro, una fabbrica di cemento precompresso in disuso, alcuni ragazzi che erano entrati nell’edificio per girare un video segnalavano ai carabinieri la presenza di un cadavere semicarbonizzato. I militari giunti sul luogo, una volta eseguiti i rilievi scientifici, non impiegavano molto tempo a risalire all’identità della salma. Si trattava infatti del povero Carmine D’Errico che qualcuno aveva cercato di bruciare cospargendo il corpo di liquido infiammabile.
Ma c’è di più. Cinque giorni dopo, mentre gli investigatori lo tenevano d’occhio, Lorenzo veniva intervistato dalla Rai per un altro appello: “Caro papà se vedi questa trasmissione ti prego torna a casa o fatti sentire”. Qualche giorno dopo, però, gli inquirenti avevano già in mano diversi indizi gravi che inchiodavano il giovane alle sue responsabilità: le incongruenze nella sua duplice versione dei fatti, i sistemi di sorveglianza delle case vicine che avevano ripreso Lorenzo mentre si allontanava dopo aver parcheggiato l’auto del padre, le tracce di sangue trovate in cucina, sul soffitto e sotto al tavolo, il Dna del cadavere di Carmine e l’auto della sua fidanzata, che si trovava all’estero, utilizzata per trasportare il cadavere da casa sino alla ex fabbrica di precompressi poi lavata da cima a fondo con la varechina per cancellare ogni traccia biologica.
Nel mese di febbraio scattava dunque il fermo per Lorenzo D’Errico, difeso dagli avvocati Luigi Chirieleison e Romana Perin di Varese, che per due mesi ha tenuto la bocca chiusa per poi aprirla confessando la piena responsabilità dell’omicidio. Nella mezza giornata di interrogatorio l’uomo ha ricostruito esattamente gli eventi delittuosi, dal litigio violento con il padre, uno dei tanti che si ripetevano quasi giornalmente, sino all’esplosione della rabbia durante la quale il presunto assassino avrebbe inferto decine di martellate al padre sino a vederselo stramazzare sul pavimento in un lago di sangue.
Poi il trasporto del cadavere in quella struttura fuori mano, i depistaggi della scomparsa e del suicidio, sino alle contraddizioni di un racconto che assomigliava più ad una fiction televisiva che alla realtà di una tragedia forse annunciata. Lorenzo D’Errico veniva sottoposto a diverse verifiche psichiatriche nel corso della sua custodia cautelare ma l’ultima perizia, disposta dal Gup monzese Francesca Bianchetti, riteneva l’indagato capace di intendere e di volere dunque nelle condizioni di sostenere il giudizio nonostante l’uomo presentasse una sorta di “personalità irrisolta“ anche a causa di un’infanzia difficile.
Lorenzo D’Errico dunque avrebbe ucciso il padre con estrema rabbia e profondo rancore non per impossessarsi dell’eredità, come si era ipotizzato in un primo tempo, piuttosto per il rapporto teso col genitore che ha spezzato l’equilibrio già precario della loro convivenza a causa di presunti maltrattamenti subìti dall’imputato sin dalla sua infanzia. Secondo la consulenza psichiatrica presentata dagli avvocati della difesa, invece, Lorenzo sarebbe stato spinto ad uccidere il padre da un improvviso raptus di follia che lo avrebbe reso quantomeno seminfermo di mente. Si vedrà al processo.