Processo con rito abbreviato a Elia Fiorindi, 19 anni, reo confesso dell’omicidio di Aymen Adda Benameur, trafitto da due coltellate durante una lite per droga.
MASERADA SUL PIAVE (Treviso) – Condannato a 10 anni di carcere il giovane di Varago, frazione di Maserada, che uccise a coltellate un coetaneo per motivi di droga. Il 25 luglio scorso infatti si è concluso il processo con rito abbreviato a carico di Elia Fiorindi, 19 anni, che l’11 maggio dell’anno scorso accoltellò a morte Aymen Adda Benameur, 17 anni, nato in Italia ma di origini algerine. Il presunto assassino avrebbe dovuto cedere 50 grammi d’hashish alla vittima ma durante la contrattazione i due avevano cominciato a litigare e nelle mani di Fiorindi sarebbe apparso un acuminato coltello da cucina con il quale sferrava due fendenti micidiali all’indirizzo del giovane che non gli lasciavano scampo.
Il giovane pusher viveva con la madre, separata dal padre con il quale però aveva mantenuto buoni rapporti. Prima di darsi allo spaccio Elia lavorava in una pizzeria del paese e non aveva particolari problemi. Una vita condotta come tanti altri giovani alternata dai turni di lavoro alle serate trascorse al pub o in discoteca. Stessa cosa per Aymen Adda Benameur, studente modello, che da qualche tempo pare si fosse avvicinato agli stupefacenti. Il giovane sicario sarebbe arrivato verso le 17 all’appuntamento, fissato tra i due giovani probabilmente da un conoscente comune, in via Primo Maggio a Varago, frazione di Maserada. Elia era accompagnato da altri due minorenni che in una prima fase dell’inchiesta erano stati fermati dai carabinieri ma che venivano rilasciati perché non indagati.
Il ragazzo, sceso da un autobus, si sarebbe avvicinato ad Alge, cosi come gli amici chiamavano la vittima, anche lui in compagnia di due coetanei. I sei giovani avrebbero cominciato a parlare, poi l’omicida e la sua vittima si sarebbero appartati in un vicino parcheggio. Dopo una decina di minuti fra i due si scatenava un’accesa discussione sulla presunta cessione di alcune partite di hashish, ovvero un panetto di circa 50 grammi e nove dosi confezionate da 1 grammo, ritrovate poco distante dal luogo dell’omicidio unitamente all’arma del delitto. Fiorindi, in possesso della droga acquistata a sua volta da alcuni spacciatori stranieri nel quartiere San Liberale di Treviso, l’avrebbe dovuta cedere ad Aymen Adda Benameur prima del decesso. Indosso al presunto assassino venivano rinvenuti anche 240 euro.
Al culmine del violento alterco Fiorindi estraeva dalla cintola il coltellaccio con il quale colpiva Alge due volte, la prima all’addome, la seconda, ovvero quella risultata fatale, all’altezza del costato sinistro che gli avrebbe centrato in pieno il cuore. Gli altri ragazzi presenti, spaventati, prestavano i primi soccorsi al giovane riverso sull’asfalto in un lago di sangue ma quando arrivavano i paramedici del Suem 118 Alge era già deceduto. L’ipotesi che il movente del fatto di sangue sia riconducibile ad un litigio relativo alla droga è stato confermato anche dal Procuratore Marco Martani ma l’ipotesi veniva smentita dall’avvocato Luciano Meneghetti, legale di fiducia della famiglia Benameur:
”Era un ragazzo, un figlio e uno studente modello – aveva dichiarato Meneghetti – alcune persone che lo conoscevano da quando era un bambino dicono che è impossibile che avesse qualche cosa a che vedere con gli stupefacenti. Il movente resta per noi ancora un punto di domanda tutto da esplorare”.
Alcuni giorni dopo Elia Fiorindi, difeso dall’avvocato Fabio Crea, confessava l’omicidio affermando che l’incontro fra i due giovani era finalizzato alla cessione di droga da parte di Elia a vantaggio della vittima. In buona sostanza per la parte civile il movente del delitto è un altro ma l’accusa ha retto in tutte le fasi del processo di primo grado in cui il Gip, Piera De Stefani, ha comunque ridotto di due anni la pena richiesta dal pubblico ministero Davide Romanelli. Al condannato sono state riconosciute le attenuanti generiche e non gli è stata contestata l’aggravante della minore età della vittima in quanto non poteva esserne consapevole. Amin Benameur, papà della vittima, al termine della lettura del verdetto, non ha nascosto la propria rabbia per una condanna ritenuta troppo tenue: “Non è giusto – ha detto l’uomo – Non è una pena congrua per quello che è stato fatto”.