Accusato dell’omicidio della sorella Nunziatina, ammazzata nel 1995 per una relazione coniugale fuori dal clan e aver “violato” il “codice d’onore” mafioso. Il corpo della donna venne trovato tre anni dopo.
Catania – Alessandro Alleruzzo, figlio dello storico capomafia di Paternò Giuseppe Alleruzzo, è stato condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio della sorella Nunziatina, uccisa nel 1995 con due colpi di pistola. La Cassazione ha rigettato il ricorso della difesa, confermando la sentenza della Corte d’assise d’appello di Catania.
Secondo l’accusa, Nunziatina Alleruzzo fu assassinata perché avrebbe avuto relazioni extraconiugali con membri del clan guidato dal fratello e di un gruppo rivale, violando così il codice d’onore mafioso. La donna scomparve il 30 maggio 1995; quel giorno, il figlio di cinque anni riferì di averla vista uscire di casa con lo zio Alessandro. I resti della vittima furono ritrovati il 25 marzo 1998 grazie a segnalazioni anonime.
Un pentito ha raccontato che Alleruzzo gli avrebbe confessato di aver ucciso la sorella per ristabilire “l’onore della famiglia”, mentre alcuni compagni di prigione hanno riferito che l’uomo ammise di aver sparato due colpi alla testa di Nunziatina e di averne gettato il corpo in un pozzo. Le indagini della Direzione Distrettuale Antimafia di Catania e le testimonianze di tre collaboratori di giustizia hanno consentito di risolvere il caso, portando alla condanna di Alleruzzo.
Giuseppe Alleruzzo, padre dell’imputato, era il boss del clan mafioso di Paternò legato alla famiglia Santapaola di Catania. Negli anni ’70 e ’80, la sua famiglia fu al centro di sanguinose faide mafiose che lo portarono a perdere la moglie e il figlio. Successivamente, decise di collaborare con la giustizia. Alessandro Alleruzzo è anche cugino di Santo Alleruzzo, noto come “la vipera”, considerato il reggente del clan fino al suo arresto nell’operazione “Sotto Scacco”.
L’avvocato difensore di Alleruzzo, Roberto D’Amelio, ha dichiarato di voler attendere le motivazioni della sentenza e di continuare a credere nell’innocenza del suo assistito, il quale, secondo il legale, “non si arrende” e ritiene che “non sia stata scritta l’ultima parola” su questa vicenda.