Il 79enne aveva annegato la consorte nella vasca da bagno alla vigilia del ricovero in clinica. Riconosciuta la seminfermità mentale per “burnout da caregiver”.
Ravenna – La Corte d’assise ha emesso la sua sentenza dopo tre ore di deliberazione: Enzo Giardi, 79 anni, dovrà scontare 9 anni e 4 mesi di reclusione per aver tolto la vita alla moglie Piera Ebe Bertini, 77 anni, affetta da Alzheimer in fase avanzata. Il drammatico fatto risale al 9 settembre 2024, quando l’uomo annegò la consorte nella vasca da bagno della loro abitazione ravennate.
Il tragico episodio si consumò proprio il giorno prima del trasferimento programmato della donna in una struttura clinica specializzata. Fino a quel momento, il marito l’aveva assistita personalmente con dedizione costante, sacrificando ogni aspetto della propria esistenza per garantirle le cure necessarie. Un percorso di accudimento lungo e logorante che, secondo gli esperti chiamati a valutare il caso, avrebbe compromesso l’equilibrio psichico dell’anziano.
La Procura aveva avanzato una richiesta di condanna a 6 anni e 2 mesi, evidenziando un elemento cruciale: la vittima non aveva mai manifestato il desiderio di porre fine alla propria vita, ma soltanto la volontà di non essere trasferita in una struttura ospedaliera. Secondo la ricostruzione accusatoria, si trattò di un atto deliberato di soppressione, dettato dal terrore dell’imputato che la compagna di una vita potesse finire abbandonata o ricevere assistenza inadeguata rispetto a quella che lui stesso le aveva garantito fino ad allora.
Lo specialista nominato dalla Corte ha fornito un’interpretazione clinica del gesto, introducendo il concetto di “burnout da caregiver”. Questa condizione, che colpisce chi si occupa per periodi prolungati di persone non autosufficienti, avrebbe portato a uno stato di esaurimento fisico ed emotivo tale da determinare una parziale incapacità di intendere e di volere al momento dei fatti. Una diagnosi che ha pesato nella valutazione complessiva della responsabilità dell’imputato.
I giudici hanno riconosciuto la prevalenza delle attenuanti rispetto alle aggravanti contestate, ovvero il vincolo matrimoniale e la condizione di particolare vulnerabilità della vittima. Tra le circostanze favorevoli considerate figurano le attenuanti generiche, lo stato di seminfermità mentale accertato dalla perizia e l’impegno al risarcimento economico nei confronti dei figli della coppia.
La sentenza, che ha portato a una condanna più severa rispetto alle richieste dell’accusa, prevede anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.