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“Tranquillante vicino ai corpi di Ciccio e Tore”, la madre chiede la riapertura del caso

Istanza presentata in Procura: oltre alla presenza del farmaco nella cisterna, non tornano l’orario e testimonianze contraddittorie.

Bari – Per 18 anni Rosa Carlucci, la mamma di ‘Ciccio’ e ‘Tore’, i fratellini trovati morti in un pozzo a Gravina di Puglia, non ha mai smesso di pensare ai figli. Tanto che ha confessato di immaginare i loro volti oggi, già grandi, due uomini che oggi avrebbero 31 e 29 anni. Ma non ci sono più. Rosa ha la certezza che non li rivedrà più, ma ci sono troppi interrogativi che ancora avvolgono la loro tragica fine. Per questo la donna, ha depositato in Procura a Bari la richiesta di riapertura delle indagini. Perché una madre non smette mai di cercare la verità, non può e non deve. Adesso però emerge un particolare inquietante nella vicenda, contenuto nell’istanza: la presenza di un farmaco, il Midazolam, all’interno della cisterna in prossimità dei cadaveri dei bambini. Un flacone di tranquillante.

Francesco e Salvatore Pappalardi sono scomparsi nel nulla il 5 giugno del 2006, in un giorno d’estate. Avevano soltanto 11 e 13 anni. La famiglia, Gravina di Puglia e l’Italia intera erano col fiato sospeso, nella speranza che i fratellini tornassero a casa. Ma nessuno immaginava cosa gli fosse accaduto, o almeno l’ipotesi del dramma veniva scongiurata ogni volta che si parlava di loro. Furono ritrovati senza vita nel pozzo della “casa delle cento stanze” in una Gravina non più avvolta dal sole estivo, il 25 febbraio 2008, dopo che per 20 mesi se ne erano perse le tracce. Lo scorso venerdì, assieme all’avvocato Giovanni Ladisi e al consulente di quest’ultimo, Rocco Silletti, la donna ha depositato la richiesta di riaprire il caso in Procura.

Rosa Carlucci, la madre di Ciccio e Tore

Secondo quanto viene sostenuto, i due ragazzini “furono costretti o indotti” alle 23.30 del giorno della scomparsa a recarsi in quel posto abbandonato. Quindi, l’ipotesi per la quale viene chiesta la riapertura del caso è l’omicidio, perché – a quanto viene viene riferito – “altri reati sarebbero frattanto prescritti”. Per il legale, Giovanni Ladisi, che assiste madre e sorella di Ciccio e Tore, i due bambini, in tenera età, non possono essersi recati spontaneamente in un casolare sperduto poco prima di mezzanotte. Furono indotti o costretti a recarsi lì. “Noi non puntiamo il dito contro nessuno – afferma l’avvocato – e con questa istanza offriamo degli spunti perché pensiamo che le indagini vadano riaperte”.

L’istanza poggia su tre argomentazioni: la prima riguarda il momento di caduta nella cisterna, che il legale riconduce attorno alle 23.30 di quella notte sulla base di alcuni approfondimenti che nascono già dall’autopsia. La seconda questione riguarda la molteplicità di contraddizioni ed omissioni da parte di diverse persone, sentite in un primo momento a sommarie informazioni nell’ambito del processo archiviato, e poi nel processo civile sulla richiesta di risarcimento dei danni (sempre negato) pendente in Cassazione. Il terzo punto, il più nebuloso e inquietante, sarebbe la presenza di un farmaco, il Midazolam, all’interno della cisterna in prossimità dei cadaveri dei bambini. “Questo farmaco, sulla base di alcuni documenti raccolti nel corso delle indagini, può essere ricondotto a un contesto vicino alla famiglia dei bambini”, dice Ladisi.

Una richiesta, quella di riaprire il caso, che ha necessitato di oltre un anno di indagini e verifiche incrociate. Giorni lunghissimi in cui Rosa ha rivissuto quel calvario. Un dramma che lascia l’amaro in bocca. E rabbia: “perché leggendo le carte è evidente come in tanti sapessero cosa fosse successo, ma nessuno ha mai detto nulla per evitare guai”. Quella omertà, quelle bugie e a volte un silenzio pesante hanno lasciato ancora di più in questa madre un dolore insopportabile. “se i soccorsi fossero stati chiamati subito, almeno Salvatore si sarebbe potuto salvare. Come è successo nel 2008 a Michelino”, dice riferendosi a Michele Dinardo, 12enne che il 25 febbraio di quell’anno cadde nello stesso punto, mentre giocava con alcuni amici. I soccorsi, allertati in tempo, consentirono di trovare i corpi di Ciccio e Tore.

La casa delle cento stanze, luogo del ritrovamento dei corpi

Lì nella “casa delle cento stanze”, l’enorme casolare in mattoni nel centro storico di Gravina di Puglia, ne sono successe di cose. Nell’Ottocento era la dimora agreste della famiglia Pellicciari, aristocratici di Modena poi discesi nel profondo Sud lucano dove hanno scelto come residenza la cittadina a 40 chilometri da Bari. Poi è diventato un fabbricato che versa in condizioni di semiabbandono dove si respira l’odore di muffa delle vecchie case. Lì, in via della Consolazione, tra segrete, pozzi e scalinate che si racconta essere infestati dagli spiriti, spesso i ragazzini si divertono a nascondersi. Ed è lì che si è consumato il dramma di Ciccio e Tore.

Dopo la scomparsa dei fratellini, il 27 novembre 2007, fu arrestato il loro papà Filippo Pappalardi per duplice omicidio e occultamento di cadavere. Si trattò però di un grave infortunio investigativo: l’uomo fu scarcerato dopo 5 mesi e la sua posizione fu archiviata. In passato sono state già avviate nuove indagini sulla vicenda, ma si sono concluse con l’archiviazione confermata dalla Cassazione. Dopo l’archiviazione dell’inchiesta, Filippo venne risarcito con la somma di 20mila euro per l’ingiusta detenzione e 45mila euro per i danni esistenziali. Ma Rosa vuole conoscere la verità: “Mi auguro che questa volta la magistratura faccia luce sul caso: i colpevoli ci sono ed è giusto che su Ciccio e Tore venga fatta giustizia. Siamo fiduciosi”.


   

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