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Torturata e strangolata: uno dei killer di Lea Garofalo suicida in cella

Rosario Curcio non aveva mai dato problemi di autolesionismo ma si era assentato da un corso prima di terminarlo. Scontava l’ergastolo quale esecutore materiale, assieme a Carlo Cosco, dell’omicidio della testimone di giustizia attirata in un agguato mortale.

OPERA (Milano) – Si è impiccato nella sua cella uno degli assassini di Lea Garofalo, 35 anni, mamma della piccola Denise, sequestrata, torturata e poi strangolata il 24 novembre 2009, dall’ex compagno Carlo Cosco, condannato all’ergastolo con altri tre appartenenti al clan. Fra questi tre “galantuomini”, tutti affiliati alla ‘ndrangheta, c’era anche Rosario Curcio, 46 anni, sposato con un figlio, ritrovato agonizzante lo scorso 28 giugno nella sua cella del carcere di Opera dove scontava il fine pena mai proprio per l’omicidio di Lea, diventata testimone di giustizia e poi morta ammazzata. L’uomo è stato subito soccorso dal personale penitenziario ma le sue condizioni erano talmente gravi che nulla hanno potuto i medici del Policlinico di Milano dove era stato trasportato il detenuto in fin di vita.

Rosario Curcio, 46 anni, originario di Petilia Policastro, in provincia di Crotone, era stato condannato all’ergastolo per l’omicidio e la distruzione del cadavere della testimone di giustizia che aveva deciso di schierarsi dalla parte della legalità raccontando le faide interne tra la sua famiglia e quella del suo ex compagno Carlo Cosco che poi l’avrebbe materialmente soffocata. Una volta avviate le indagini per l’odioso delitto, commissionato dai piani alti dell’organizzazione criminale calabrese, da anni perfettamente penetrata e integrata nel tessuto sociale lombardo, il Pm della Dda di Milano Marcello Tatangelo aveva ricostruito tutte le fasi del delitto, dal sequestro di piazza Prealpi a Milano con successive torture e uccisione, fino alla distruzione del cadavere, carbonizzato, all’interno di un magazzino nelle campagne di San Fruttuoso, alle porte di Monza.

A chiarire i particolari dell’omicidio era stato il pentito Carmine Venturino che aveva raccontato agli inquirenti come era stata uccisa la donna aiutando gli investigatori a ritrovare i resti del corpo bruciato e una sua collana. Lea, sorella di Floriano Garofalo, boss di Petilia Policastro, tra il 2002 e il 2006 aveva goduto del programma di protezione per aver testimoniato al processo contro la famiglia Cosco. Il suo compagno, infatti, era infatti coinvolto nella faida che culminava con l’assassinio di Floriano. Terminata la guerra di sangue il programma di protezione per mamma e figlia era stato sospeso perché Lea, a torto, non era più considerata un obiettivo sensibile e di lì a poco ne avrebbe pagato le conseguenze nonostante le proteste della donna che segnalava alle autorità di polizia la precarietà delle sue condizioni di difesa e il permanere del pericolo per la sua vita.

Il cantiere di via Marelli dove era stato ritrovato lo scheletro carbonizzato della vittima

Lea Garofalo si era opposta all’ambiente mafioso dal quale proveniva con tutte le sue forze. Già una volta era sfuggita ad un agguato grazie al tempestivo intervento dei carabinieri di Campobasso che erano intervenuti dopo una telefonata di Denise. Il 24 novembre del 2009 per Lea non c’è stato scampo. Cosco invita mamma e figlia ad un incontro a Milano con la scusa di parlare del futuro della ragazza all’epoca diciottenne. Approfittando della momentanea assenza della figlia l’uomo, in serata, accompagna Lea in un appartamento di piazza Prealpi, di proprietà di un complice. Appena giunti nell’abitazione Carlo Cosco aggredisce la donna e assieme a Vito Cosco, detto Sergino, avrebbero iniziato a torturare la vittima per poi strangolarla.

Carlo e Vito cederanno il cadavere a Carmine Venturino, Rosario Curcio e Massimo Sabatino che porteranno la salma in un magazzino del bresciano dove, per tre giorni, daranno fuoco al corpo della donna distruggendolo per poi nasconderne i poveri resti. L’inchiesta sarà appannaggio della Dda di Milano e del Nucleo Investigativo dei carabinieri che, nell’ottobre del 2010, arresteranno i cinque ‘ndranghetisti sospettati dell’omicidio.

Lea Garofalo

Il 30 marzo 2012 quando gli avvocati della difesa reitereranno la tesi che Lea Garofalo sarebbe viva e vegeta in Australia, i cinque assassini verranno condannati all’ergastolo con Carlo e Vito in isolamento diurno per due anni. Carmine Venturino, dopo il verdetto, farà ritrovare i frammenti ossei della vittima. Il 28 maggio 2013 il secondo grado conferma l’ergastolo per Carlo e Vito Cosco, Rosario Curcio e Massimo Sabatino; 25 anni di reclusione per Carmine Venturino e l’assoluzione per non aver commesso il fatto per Giuseppe Cosco. Nel 2014 la Cassazione confermerà le pene.

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