Tortora, Zuncheddu e Gulotta: convegno sui tre grandi errori giudiziari, i più clamorosi

A Marsala il convegno sugli innocenti in carcere. Toccante l’incontro tra i protagonisti, con l’ingombrante assenza del conduttore di Portobello.

Trapani – L’indimenticabile Enzo Tortora, l’alcamese Giuseppe Gulotta e l’ex pastore sardo Beniamino Zuncheddu, ultima “vittima” tra i tre “grandi” dell’errore giudiziario. Tre nomi che parlano del “mostro sbattuto in prima pagina”, e dell’assoluzione dopo una vita interrotta da un giudizio sbagliato. L’errore è accertato, la responsabilità del magistrato no. Sui tre nomi emblema della giustizia ingiusta, la Camera penale di Marsala ha voluto incentrare una due giorni di dibattiti: attraverso il conduttore di Portobello, Gulotta e Zuncheddu è stata accesa una luce fioca sul buio che domina da anni gli errori giudiziari.

Riecheggia nelle orecchie e nelle coscienze quella frase pronunciata da Tortora di fronte a quei giudici che avevano sbagliato sul suo conto “Io sono innocente, e spero dal profondo del cuore che lo siate anche voi”. Parole amare, che però anticipavano quello scenario drammatico dove gli artefici di quel dramma umano non pagano mai per i loro errori. I magistrati che inquisirono e condannarono Tortora fecero tutti carriera. Nessuno subì un qualsiasi provvedimento disciplinare o vide rallentata la progressione professionale. Non solo. Uno dei magistrati che sostenne l’accusa nei confronti del conduttore di Portobello venne eletto al Csm.

Il giornalista tv Enzo Tortora nello studio del programma “Giallo”

Ironia della sorte, tra corsi e ricorsi storici, proprio nei giorni del convegno, svoltosi al Teatro “Sollima”, è arrivata la notizia del deposito delle motivazioni della sentenza con cui il 26 gennaio la Corte d’appello di Roma, nel processo di revisione, ha assolto Zuncheddu, ormai 60enne, in carcere per quasi 33 anni con l’accusa di essere l’autore, o uno degli autori, della strage di Sinnai l’8 gennaio 1991 (tre morti e un ferito grave). Si ripercorre l’inferno giudiziario passato da Tortora e altri, strade tortuose che si incrociano.

“Le motivazioni – ha spiegato l’avvocato Mauro Trogu – dicono che il testimone oculare è stato sicuramente imbeccato dal poliziotto nel momento in cui ha accusato il pastore sardo. Quindi, il testimone d’accusa non aveva visto ed è stato indirizzato dal poliziotto verso Zuncheddu. Quindi, un teste inaffidabile”. La sentenza, ha fatto sapere il legale, diverrà definitiva il prossimo 10 giugno e in quel momento potrà essere formulata la richiesta di risarcimento danni. Durante il convegno, racconta chi c’era, è stato toccante l’incontro tra Zuncheddu e Gulotta. Non si erano mai visti, eppure si conoscevano accomunati da un dramma comune. Mancava il primo anello della violenta catena: Enzo Tortora, ucciso dal dolore della pena ingiusta.

Eppure il convegno ha unito idealmente le tre storie, in una linea immaginaria che tra dolore e brividi attraversa un Paese che non è mai riuscito a dare applicazione reale alla legge sulla responsabilità civile dei magistrati e alla separazione delle carriere. Tra racconti, pareri tecnici e emozioni, è intervenuto anche l’avvocato Francesco Petrelli, presidente dell’Unione Camere penali italiane, che da anni conduce la battaglia per la separazione tra giudici e pm. “Il numero dei gradi di giudizio, tre – ha detto -, che un ordinamento appresta a garanzia dell’imputato nell’accertamento di un fatto e delle relative responsabilità evidentemente non basta. Ciò che, invece, conferisce qualità al giudizio, e quindi può servire a scongiurare l’errore giudiziario, è la qualità della prova”.

Beniamino Zuncheddu

Il leader dei penalisti ha puntato l’attenzione sul fatto che nel nostro Paese, “purtroppo, manca una vera e propria cultura della prova, una cultura del limite che di recente la Cassazione ha chiamato ‘la dialettica del dubbio’. Insomma, far prevalere sempre la virtù del ragionevole dubbio rispetto a quello che è l’obiettivo che spesso l’investigatore si dà. E non vi è un peggior compagno di viaggio, per la polizia giudiziaria, per il pubblico ministero e infine per il giudice, che l’idea di una responsabilità che diviene premessa della ricerca della prova. Questo è quello che accade nella maggior parte dei casi ed è quello che è accaduto anche nella terribile vicenda che ha visto vittima il povero Zuncheddu”.

La mancanza di una concreta valutazione dell’attività professionale dei magistrati è probabilmente la causa principale del malfunzionamento della giustizia. Il deputato Enrico Costa ha ricordato che il 99,6 per cento dei giudici italiani ottiene una valutazione positiva e che dal 2010 i magistrati condannati in applicazione della legge sulla cosiddetta responsabilità civile sono stati 8 (otto). Più o meno 1 ogni 2 anni. Che la legge sull’asserita responsabilità civile sia stata approvata nel 1988 a seguito del processo Tortora e del successivo referendum abrogativo conferma che quanto accaduto al popolare presentatore costituisce per alcuni più un fastidio da rimuovere che una lezione da tenere a mente.

Si continua a invocare il bisogno profondo di una magistratura che riformi sé stessa e di una politica che abbia il coraggio di cambiare le cose. Ma il vento del cambiamento non soffia mai così forte da cancellare i drammi che l’errore ha disseminato tra gli innocenti. Qualcuno – i penalisti, Enrico Costa, Francesca Scopelliti – si è sempre battuto per smuovere le coscienze su questa tragedia, e ci crede ancora. “Che, almeno questa, non sia un’illusione!”, direbbe il conduttore di Portobello, così come è inciso sulla sua lapide.

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