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Superbonus frena la manovra, parte da -20 miliardi: le opposizioni “è una scatola vuota”

La garanzia sul cuneo fiscale vale 10 miliardi, ma sanità, canone Rai e decontribuzione per le mamme con due figli restano fuori.

Roma – Una manovra ancora tutta da scrivere. E da coprire. I numeri del Def approvato dal governo Meloni, l’ultimo nella storia dell’economia italiana, non lasciano trasparire nulla della prossima legge di bilancio. Agli occhi di sindacati e opposizioni appare come una scatola vuota, un documento fantasma. E il motivo sta in un’unica caratteristica: la messa a punto di una sola tabella, quella con il quadro tendenziale, solitamente poco significativa nei documenti di finanza pubblica dove l’attenzione si concentra piuttosto sul quadro programmatico, quello che implica le scelte di politica economica che saranno inserite nella successiva manovra di bilancio.

Le cifre approvate dal consiglio dei ministri sono infatti a legislazione vigente: scontano il peso “disastroso” del Superbonus che compromette gran parte delle possibilità di movimento, ma non comprendono alcuno stanziamento per il 2025 e gli anni successivi. Non è la prima volta, come puntualizzato in varie occasioni dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, anzi è la quinta. Prima di oggi è stato già presentato in versione
‘asciutta’
in situazioni più o meno straordinarie dai governi Monti, Gentiloni, Conte (durante l’emergenza Covid) e Draghi, proprio prima del passaggio di consegne a Meloni.

Giancarlo Giorgetti

Nessun compromesso alla credibilità dell’Italia, visto che tutto è stato concordato con l’Ue, tiene a precisare l’esecutivo. Ma per capire come e quanto il tandem Meloni-Giorgetti farà leva sul deficit per la legge di bilancio bisognerà aspettare almeno il dopo elezioni europee, o comunque fino al massimo al 20 settembre quando sarà presentato il Piano fiscale strutturale. Un documento totalmente nuovo, definito in base alle nuove regole della governance Ue, con il quale governo, Parlamento e Commissione europea dovranno imparare a confrontarsi e prendere le misure. Lo spazio che, in base alle garanzie arrivate oggi da Giorgetti, sicuramente sarà confermato nel Piano sarà quello per il taglio del cuneo fiscale.

La misura simbolo della scorsa manovra costa 10 miliardi e su quell’impegno il governo non è disposto a venire meno. Ma la lista delle altre misure da rifinanziare, se si volesse anche solo replicare quelle di quest’anno è lunga e arriva a 20 miliardi. Al cuneo va aggiunta infatti anche la rimodulazione dell’Irpef: il passaggio da 4 a 3 aliquote vale 4 miliardi. Il viceministro Leo un tesoretto equivalente se lo è già messo da parte con l’eliminazione dell’Ace, ma un ulteriore auspicato intervento a favore dei redditi medi fino a 50.000 euro sarebbe tutto da coprire. L’idea è di utilizzare i proventi del concordato preventivo, che però devono ancora essere conteggiati.

Per il credito di imposta a favore delle imprese della Zes unica del Mezzogiorno servono 1,8 miliardi. Per la riproposizione del taglio del canone Rai 430 milioni, per la decontribuzione a favore delle mamme con due
figli circa 500 milioni, per i fringe benefit, il taglio dell’aliquota sui premi di produttività e il welfare aziendale
circa 830 milioni,
altri 100 milioni per rinnovare la nuova Sabatini. Bisognerà anche capire il destino di plastic e sugar tax, al momento scongiurate fino a luglio ma che annualmente valgono 650 milioni. Per le spese indifferibili si parla inoltre ogni anno di circa 1,5-2 miliardi. E poi ci sono i maxi-capitoli sanità e contratti pubblici. Anche sulla sanità gli stanziamenti ci sono stati in termini assoluti, ma il mondo della scienza e della medicina lamentano un drammatico arretramento delle prestazioni pubbliche per mancanza di fondi.

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