Con un inciso su un lungo post pubblicato sul blog delle stelle, il MoVimento Cinquestelle ha scaricato sugli iscritti a Rousseau la responsabilità di decidere se il partito dovrà partecipare o meno alle prossime elezioni regionali in Emilia Romagna e Calabria. Ipotizziamo come andrà a finire.
“Ci siamo confrontati. Abbiamo consultato le persone che portano dalla prima ora sulle spalle questo Movimento, e tutti concordano che serva un momento di riflessione, di standby. Ma decidiamo insieme. È quindi anche il momento di chiederci se questa grande mobilitazione di crescita e rigenerazione sia compatibile con le attività elettorali. Per questo motivo abbiamo deciso di sottoporre agli iscritti la decisione riguardante la partecipazione alle imminenti elezioni regionali in Emilia – Romagna e in Calabria”.
La tornata elettorale emiliana si sta trasformando, ogni giorno di più, nella madre di tutte le battaglie. Una partita di poker: dove c’è chi rilancia (Salvini) e chi resta al tavolo per andare a vedere il bluff (il centrosinistra). Poi c’è chi sceglie di passare la mano e aspettare tempi migliori.
Con un inciso su un lungo post pubblicato ieri sera sul blog delle stelle, il MoVimento Cinquestelle ha scaricato sugli iscritti a Rousseau la responsabilità di decidere se il partito dovrà partecipare o meno alle prossime elezioni regionali in Emilia Romagna e Calabria. A parte l’ennesimo strappo alla consuetudine istituzionale, nonché al significato ontologico di impegno politico (ma la politica non doveva essere quella cosa nella quale ti presenti alle elezioni se hai un’idea di società e vuoi provare a metterla in pratica? Beata ingenuità…) le cose stanno nella seguente maniera.
I Cinquestelle hanno tre opzioni: presentarsi come alleati del PD, presentarsi da soli o non presentarsi affatto.
La prima va esclusa subito, non la vuole nessuno. Non la vogliono i dirigenti romani (l’Umbria è bastata), non la vogliono i capibastone locali (perché una cosa è spiegare a livello nazionale che quelli che fino a ieri hai chiamato “Bibbiani” ora sono i tuoi migliori amici, altra cosa è raccontarlo a livello locale, dove gli elettori ti guardano in faccia), non la vuole Di Maio (a cui i democratici sono indigesti come una peperonata prima della buonanotte).
La seconda (presentarsi da soli) avrebbe potenzialmente avuto più chances. Intanto era la preferita dai dirigenti locali (che, dopo anni di preparazione, di certo non gradiscono dover saltare il turno), poi si sarebbe sempre potuta vendere come una rivendicazione identitaria. Però c’è un però: ipotizziamo che i 5stelle si presentino da soli, e che quindi tolgano una fetta di voti al PD (anche perché i 5stelle di destra ormai sono già tutti con Salvini). Supponiamo poi che il PD perda di poco le elezioni (Bonaccini è dato sì in vantaggio su Borgonzoni, ma mica di tanto) e che, numeri alla mano, i responsabili di tale sconfitta risultino proprio i 5stelle, alleati di Governo. Quanti minuti durerebbe l’esecutivo a quel punto?
Non resta che la terza opzione: il disimpegno. Ipotesi tanto acclamata (quasi pretesa) dall’establishment grillino nei palazzi romani quanto avversata dagli esponenti locali del partito, che hanno minacciato scissioni e barricate, qualora questo disegno venga imposto da Di Maio.
Ma che bisogno c’è di imporre qualcosa dal centro (e quindi, per un leader, di assumersi delle responsabilità) in un partito dotato del magnifico Rousseau? Si faccia votare la gente, si faccia parlare Rousseau, così poi le colpe se le prende tutte lui, che tanto esiste apposta per lavare le coscienze di chi davvero decide (chi fosse interessato ad approfondire la dinamica dedichi qualche ora alla visione del film “Il grande capo”, capolavoro dell’eccelso Lars Von Trier).
Giacché si è cominciato parlando di poker, voglio correre un rischio anch’io. Scommettiamo che domani (oggi per chi legge) il (trasparentissimo) voto degli elettori 5stelle confermerà la linea della desistenza? Aspetto le vostre puntate.