Quanto guadagnano davvero i lavoratori italiani? Stipendi bassi, disuguaglianze di genere e divari tra pubblico e privato.
Gli stipendi dei lavoratori italiani spiccano, rispetto a quelli europei, perché sono… molto magri, in quanto sottoposti a ferrea dieta, la stessa che sono costretti a subire i percettori. Ma a quanto ammontano gli aridi numeri? Disquisire sull’argomento è sempre un po’ desolante, ma senza di essi “non si contano nemmeno le messe”. Vale a dire che senza disponibilità economiche non si vive una vita dignitosa, ma piena di limiti e priva di libertà. Persino il prete non canterà messa se non si hanno i soldi per pagarlo!
Secondo le rilevazioni Istat (Istituto nazionale di statistica) riferite all’anno 2022 l’ammontare lordo nelle imprese con almeno 10 addetti è stato di 37.302 euro, pari a 2.200 netti mensili. La differenza può scaturire dalle addizionali Irpef locali, quelle imposte dirette applicate ai redditi delle persone fisiche sulla base di un’aliquota stabilita dal Comune in cui il contribuente risiede e come nel caso di quella regionale è calcolata sul reddito complessivo determinato ai fini IRPEF (Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche). E’ una cifra che molti lavoratori non vedono nemmeno col cannocchiale, in quanto la loro retribuzione oscilla tra il 1200-1500 euro mensili. Ma ci inchiniamo all’autorevolezza dei numeri forniti da un ente pubblico di ricerca come l’Istat, il principale produttore di statistiche ufficiali nazionali!
In dettaglio sono emerse grandi differenze. Lo stipendio lordo, ad esempio, in termini orari medi è di 16,4 euro, pari a 15,9 euro per le donne e di 16,8 euro per gli uomini, 1 euro in più. Annualmente equivale a 6 mila euro in meno per le donne: circa 34 mila contro i 40 maschili. Il “gender pay gap”, ossia la differenza media che sussiste tra i salari orari lordi percepiti dagli uomini e dalle donne, secondo l’Istat è più evidente tra i laureati (16,6% un dato tre volte superiore a quello medio) e tra i dirigenti (30,8%). A incidere su questi risultati il fatto che le donne lavorano, spesso, in regime di part- time per motivi inerenti alla cura dei figli e degli anziani. Inoltre, lavorando part-time si percepisce in media 12 euro all’ora, contro il 17,3 per chi lavora full-time. I divari sono risultati ancora più marcati tra giovani e anziani, tra lavoro precario e a tempo indeterminato. Gli “under 30” percepiscono quasi il 40% in meno rispetto agli over 50, confermata la differenza tra uomini e donne e tra chi ha un contratto a tempo determinato rispetto a quello indeterminato.
Avere il fatico “pezzo di carta”, la laurea, sembra ancora conveniente dal punto di vista economico. La differenza di stipendio con chi ha un basso titolo di studio è molto evidente. Il settore pubblico è definito da qualsiasi manuale di diritto come “l’insieme di enti pubblici il cui scopo primario è quello di produrre beni e servizi non destinati alla vendita”. Sono compresi: gli enti dello Stato, le aziende autonome, la Cassa Depositi e Prestiti, la gestione di tesoreria ed altri enti dell’amministrazione centrale; le amministrazioni locali (Regioni, enti locali, Camere di Commercio ecc.); le aziende sanitarie locali; enti previdenziali ed assistenziali”.
Ora in questo tanto bistrattato settore, gli stipendi sono maggiori di quello privato e tra settori produttivi. Annualmente la differenza di stipendio è di circa 4 mila euro, pari a 39.670 nel pubblico e 36.034 nel privato. Tra i vari comparti dell’economia nazionale si guadagna di più nell’industria con quasi 39 mila euro annui, nelle costruzioni è più bassa 32.202 euro, nei servizi sociali circa 37 mila euro. Sin dai suoi albori, l’uomo è stato costretto a lavorare per vivere. Importante che lo faccia in condizioni di sicurezza e di dignità. Purtroppo, nemmeno nelle “società democratiche”, spesso non viene rispettata né l’una e né l’altra!