Il compagno l’aveva picchiata a sangue per poi schiacciarle la testa con le scarpe dalla punta di piombo. Dopo nove interventi chirurgici e indicibili sofferenze fisiche e psicologiche la donna, quasi immobile, si fa capire col pollice e con la mimica facciale, sa usare il touch screen per avviare le videochiamate. Parla la madre che chiede aiuto allo Stato.
Roma – E’ il 3 febbraio 2014, sono passate da poco le 18 e la diciannovenne Chiara Insidioso Monda veniva brutalmente presa a pugni e a calci dal compagno Maurizio Falcioni, 35 anni, muratore saltuario e tossicodipendente. Nonostante fosse svenuta, l’uomo continuava a colpirla senza pietà con le sue scarpe antinfortunistiche, tanto da spappolarle il cranio, la mandibola e la milza. Vedendo che Chiara non rispondeva più ed era riversa a terra in una pozza di sangue, Falcioni bussava alla porta dei vicini Solange e Giuseppe chiedendo aiuto. Ai due l’uomo faceva intendere che Chiara aveva avuto un incidente domestico cosi che la coppia della porta accanto si apprestava a chiamare il 118 pur non credendo alle parole del muratore.
L’ambulanza trasportava d’urgenza Chiara all’ospedale di Ostia e poi al San Camillo di Roma dove, la sera stessa, veniva sottoposta ad un intervento chirurgico per rimuovere l’esteso ematoma che si era formato nel cervello. Ne subirà altri due di delicate operazioni per ricostruire la teca cranica con una tecnologia avanzata elaborata al computer, oltre ai successivi drenaggi e all’inserimento della pompa al baclofene per la spasticità grave: in totale nove interventi tra dolori e sofferenze indicibili. Il 4 dicembre 2014 la giovane veniva trasferita presso la Fondazione Santa Lucia, un centro specializzato nella riabilitazione neuro-motoria di pazienti che presentano gravi celebrolesioni. E’ il 4 gennaio 2015 quando Chiara, finalmente, esce dal coma riportando lesioni multiple al cervello, in particolare a livello fronto temporo-parietale sinistro. Attraverso un percorso riabilitativo costituito da cure logopediche e di motricità, la donna passava da uno stato di minima coscienza a uno di minima interazione, riuscendo a muovere gli occhi, il braccio, la gamba e il piede sinistro. La ragazza resta in fondazione fino all’11 agosto 2016, per essere poi trasferita a Casa Iride- Associazione Risveglio Onlus, una struttura sanitaria che ospita persone in stato vegetativo o in stato di minima coscienza e non autosufficienti. Ma chi è la giovane vittima sopravvissuta per miracolo al violento femminicidio?
I genitori di Chiara si erano separati nel 2004 e lei aveva vissuto fino all’età di 17 anni con la madre Danielle Conjarts, olandese, a Cerveteri. La ragazza soffriva di un lieve disturbo cognitivo che richiedeva un maggiore sostegno scolastico e, per questo motivo, aveva dovuto cambiare scuola e trasferirsi a casa del padre, Maurizio Insidioso, a Casal Bernocchi. Nell’estate del 2013, portando la sua cagnolina Molly a spasso nel parco, Chiara aveva conosciuto Maurizio Falcioni, un balordo della zona che abitava vicino casa sua. L’uomo, approfittando della sua ingenuità, l’aveva circuita tanto da farla innamorare e fuggire di casa per andare a vivere con lui in uno scantinato. Inutili erano stati i tentativi da parte dei genitori della giovane per impedire quella squallida quanto pericolosa frequentazione. Anche le tre denunce presentate da papà Maurizio ai carabinieri cadevano nel vuoto. I militari rispondevano di avere le mani legate in quanto la ragazza era maggiorenne e consenziente. Falcioni aveva isolato la fidanzata da amici e parenti e, il giorno della tragedia, aveva iniziato a maltrattarla e a picchiarla già dalla mattinata perché l’aveva sorpresa a chattare con un amico. A pranzo la coppia era andata a casa del padre di Maurizio che, insieme alla compagna rumena, abitava sopra al loro scantinato. Pur vedendola piangere e perdere sangue dal naso, i due non avevano mosso un dito.
Abbiamo chiesto alla mamma di Chiara, Danielle Conjarts, di tornare indietro nel tempo:
”…Io e Chiara abbiamo sempre avuto un bel rapporto – racconta Danielle – anche quando 16 anni fa ho deciso di lasciare suo padre perché ero stanca del suo carattere. Ha sempre stoppato ogni mia iniziativa e petizione in favore di Chiara e ho deciso di non chiedergli più nulla. Ritengo che la struttura in cui si trova attualmente mia figlia, Casa Iride, non sia adatta alle sue esigenze: ci sono persone in coma vegetativo e invece Chiara non è in questo stato. Ha bisogno di ricevere determinati stimoli per migliorare la sua condizione e lì non viene seguita adeguatamente a livello di fisioterapia e di logopedia. Ha anche frequentato un centro giornaliero per ragazzi nati disabili, l’Alm associazione laziale Motulesi, ma ho sempre manifestato il mio disappunto perché, anche questo percorso, non è quello di cui mia figlia ha bisogno. Inoltre il Comune ci aveva assegnato un trilocale nel quartiere Spinaceto, ma il padre di Chiara, a seguito di una perizia, l’ha rifiutato perché ritenuto non idoneo. Chiara è migliorata molto, si fa capire col pollice e con la mimica facciale, si ricorda tutto, capisce l’italiano e l’olandese, sa usare il touch screen, sa avviare le videochiamate, anche perché non la vedo dal 12 marzo a causa della chiusura al pubblico delle strutture sanitarie per il coronavirus e, in attesa della riapertura, ci vediamo col cellulare.
Non ho più una vita normale da quando è accaduta la tragedia, ogni giorno mi faccio 130 Km per vedere qualche ora Chiara e per stare accanto a lei ho perso il lavoro e la casa. Fortunatamente mi aiuta mia madre dall’Olanda e vivo in casa di amici, altrimenti sarei in mezzo ad una strada. Vorrei che il giudice tutelare ascoltasse le mie parole e prendesse in considerazione anche il mio punto di vista e non solo quello del padre che è stato nominato tutore di mia figlia solo perché ha un lavoro e viveva con lei. Non trovo giusto che io non possa decidere per Chiara. Non trovo giusto che io non posso vedere la sua cartella clinica. Non trovo giusto che mia figlia non possa avere una riabilitazione adeguata. Non trovo giusto che non le sia permesso ricevere le visite dei suoi amici. Non trovo giusto che non possa vedere il mondo esterno. In Olanda ci sono strutture adatte alle esigenze di Chiara e, avendo lei la doppia nazionalità, voglio andare a vivere nel mio Paese di origine con mia figlia, offrirle un futuro migliore e ricominciare tutto d’accapo…”.
E non è neanche giusto che Chiara percepisca una misera pensione di invalidità civile di 290 euro e l’assegno di accompagnamento di 500, cifra mensile che a malapena riesce a coprire la retta della struttura in cui si trova e i suoi bisogni. Inoltre lo Stato le ha riconosciuto solo 3.000 euro di risarcimento in quanto il suo carnefice è nullatenente. Ricordiamo che lo Stato italiano ha l’obbligo di intervenire con una compensazione economica che permetta a Chiara un’assistenza e una riabilitazione affinché possa reinserirsi, nei limiti del possibile, in una vita pressoché normale. Obbligo che la Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne, ratificata dall’Italia nel 2013, spiega nell’articolo 30, in cui descrive come lo Stato si debba occupare del risarcimento nel caso in cui ”la riapparizione del danno non è garantita da altre fonti e in particolare dall’autore del reato”. Nonostante le visite formali del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e dell’ex Ministro della Salute Beatrice Lorenzin, sembra che la storia Chiara sia caduta nell’oblio. L’uomo che diceva di amarla è stato condannato, con rito abbreviato e in secondo grado a 16 anni di carcere perché ha chiamato i soccorsi e si è pentito. Lei, invece, è stata condannata all’ergastolo, perchè vivrà per sempre in un corpo che non sarà mai più quello di prima.