Il criminologo e psicanalista Mele: “La questione è prima di tutto etica, se si intende il percorso detentivo come riabilitazione”.
Terni – La Corte Costituzionale, con una sentenza storica, nel gennaio 2024 aveva sdoganato il diritto all’amore dietro le sbarre, dando il via libera alle cosiddette ‘camere dell’amore’. A fare da apripista, due carceri italiane, Parma e Terni, dove è stato riconosciuto il diritto ad avere momenti di intimità con i propri partner dietro le sbarre. Nel caso umbro a stabilirlo è stata una sentenza del Tribunale di Sorveglianza che ha autorizzato un detenuto a colloqui intimi in assenza del personale di polizia penitenziaria.
A un anno dal deposito della sentenza della Consulta, quel diritto all’affettività non era stato attuato in nessun istituto italiano. Poi la svolta con l’ordinanza di accoglimento del reclamo dal carcere di Terni. Il giudice di sorveglianza di Spoleto, Fabio Gianfilippi, ha emesso un’ordinanza che consente al detenuto ristretto in regime di 41bis, il cosiddetto carcere duro, di incontrare la propria compagna in un luogo protetto e riservato, garantendo così il rispetto della sua dignità e dei suoi diritti fondamentali. Questo anche in considerazione della provata “volontà genitoriale” della donna e dello stesso detenuto. L’uomo prima ha chiesto di poter incontrare in modo riservato la partner alla direzione della casa circondariale. Una volta vistosi negare il permesso, ha presentato un reclamo.
Ma in quelle stesse ore anche a Parma, come raccontato da Il Resto del Carlino, si è verificato un caso simile. Un detenuto che da mesi chiedeva di appartarsi con la moglie, ha presentato un reclamo per la stessa ragione, accolto dal magistrato di Sorveglianza. Il ricorso è stato accettato. A questo punto l’istituto penitenziario di Parma, come previsto dal provvedimento, dovrà allestire una ‘camera dell’amore’ entro 60 giorni, che dovrà rispettare “garanzie minime di riservatezza, senza il controllo a vista”, come stabilito dalla Consulta.
In particolare la Corte Costituzionale ha bocciato quella parte della legge 26 del luglio 1975 che “non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa a svolgere i colloqui con il coniuge, la parte dell’unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia, quando, tenuto conto del comportamento della persona detenuta in carcere, non ostino ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell’ordine e della disciplina, né, riguardo all’imputato, ragioni giudiziarie”. Terni e Parma hanno dunque fatto da apripista. A Padova, nel carcere Due Palazzi, ci avevano provato alcune associazioni che operano nell’istituto ma il progetto era sfumato.
“Se il carcere deve avere una funzione riabilitativa, è giusto che venga curata la sfera affettiva dei detenuti e che ci siano spazi per godere, anche in prigione, della cosiddetta ora d’amore. Spesso gli ostacoli alla rieducazione possono esistere in quei legami che tengono collegato il recluso alla vita criminale del mondo esterno“, sostiene da tempo lo psicanalista e criminologo Francisco Mele. “Le stanze dell’amore – spiega il docente argentino, che nel suo paese ha lavorato in un ospedale giudiziario e in una colonia penale – è un’occasione per lavorare sull’affettività dietro le sbarre, spesso negata”.
“Il problema è prima di tutto etico, perché, se si intende il carcere come punitivo, il discorso non regge, diverso se è inteso come riabilitativo. Potrebbe essere comunque un’opportunità di aiuto – conclude – per il detenuto, affinché modifichi la condotta interiore. Il recluso deve cambiare interiormente e non esteriormente altrimenti, appena fuori di prigione, commetterà nuovi reati. E oggi, con un sistema in cui le carceri sono sovraffollate, è difficile porre in atto questo principio. Ma è comunque importante che se ne sia discusso per anni, arrivando oggi a questo risultato”.