Sfruttamento del lavoro: amministrazione giudiziaria per Giorgio Armani operations

Indagine sull’utilizzo negli appalti di opifici abusivi e il ricorso a manodopera cinese in nero e clandestina.

Milano – Caporalato e sfruttamento del lavoro nei vari opifici cinesi sparsi per la Lombardia: questa volta l’inchiesta della procura di Milano colpisce un big della moda, la Giorgio Armani Operations, società che si occupa di progettazione e produzione di abbigliamento e accessori per il gruppo Armani, che è stata posta in amministrazione giudiziaria per presunto sfruttamento del lavoro.

Secondo gli inquirenti l’azienda “non avrebbe vigilato correttamente sulle società a cui ha appaltato le proprie produzioni. Società che, a loro volta, avrebbero subappaltato l’attività a opifici abusivi che facevano ricorso a manodopera cinese in nero e clandestina”.

I pm Paolo Storari e Luisa Baima Bolloni, a seguito dell’inchiesta portata avanti dai carabinieri del nucleo Ispettorato del lavoro, hanno ritenuto l’azienda “incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo” nel ciclo produttivo “non avendo messo in atto misure idonee alla verifica delle reali condizioni lavorative ovvero delle capacità tecniche delle aziende appaltatrici tanto da agevolare (colposamente) soggetti raggiunti da corposi elementi probatori in ordine al delitto di caporalato“.

Scovati quattro opifici con lavoratori in nero e senza permesso di soggiorno

Alla Giorgio Armani Operations, quindi, viene contestato il mancato controllo della propria filiera produttiva. Nella nota dei carabinieri si legge come “la casa di moda affidi, attraverso una società in house creata ad hoc per la progettazione, produzione e industrializzazione delle collezioni di moda e accessori, mediante un contratto di fornitura, l’intera produzione di parte della collezione di borse e accessori 2024 a società terze, con completa esternalizzazione dei processi produttivi“. L’azienda fornitrice «dispone solo nominalmente di adeguata capacità produttiva e può competere sul mercato solo esternalizzando a sua volta le commesse ad opifici cinesi, i quali riescono ad abbattere i costi ricorrendo all’impiego di manodopera irregolare e clandestina in condizioni di sfruttamento“.

Negli stabilimenti di produzione effettiva e non autorizzata è stato riscontrato che la lavorazione avveniva “in condizione di sfruttamento (pagamento sotto soglia, orario di lavoro non conforme, ambienti di lavoro insalubri ), in presenza di gravi violazioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro (omessa sorveglianza sanitaria, omessa formazione e informazione) nonché ospitando la manodopera in dormitori realizzati abusivamente ed in condizioni igienico sanitarie sotto minimo etico“.

Il Nucleo Ispettorato del Lavoro di Milano, a partire da dicembre 2023, ha trovato quattro opifici irregolari nei quali sono stati identificati 29 lavoratori di cui 12 occupati in nero e 9 anche non in regola sul territorio nazionale. Sono stati denunciati a vario titolo per caporalato i quattro titolari di aziende di diritto o di fatto di origine cinese nonché 9 persone non in regola con la permanenza e il soggiorno sul territorio nazionale. Infine sono state comminate ammende pari a oltre 80.000 euro e sanzioni amministrative pari a 65.000 euro e per 4 aziende è stata disposta la sospensione dell’attività per «gravi violazioni in materia di sicurezza e per utilizzo di lavoro nero».

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