Contestata a un 50enne ravennate la mancata dichiarazione al Fisco di redditi illeciti conseguiti nel periodo 2017-2021 per un ammontare complessivo di 650.000 euro, quali proventi di centinaia di truffe commesse sull’intero territorio nazionale a danno di oltre 500 vittime.
Ravenna – Per la contestazione fiscale le Fiamme Gialle, previo nulla osta dell’autorità giudiziaria procedente, hanno utilizzato le informazioni raccolte durante gli approfondimenti investigativi relativi allo svolgimento di un’articolata indagine penale diretta dalla procura della Repubblica di Ravenna, corroborate anche dall’esito di mirate indagini finanziarie che hanno permesso di ricostruire analiticamente i guadagni illeciti accumulati nel tempo e le consistenti spese personali sostenute dal soggetto verificato per mantenere un tenore di vita, rivelatosi decisamente agiato.
L’intera vicenda è scaturita da due denunce querele ricevute ad aprile 2021 dai finanzieri di Faenza, ma le successive indagini hanno evidenziato fin da subito uno scenario ben più ampio e grave: in effetti il soggetto è ora accusato di aver ideato un vero e proprio sistema di truffe “a catena” in cui si sono imbattuti centinaia di ignari imprenditori o padri di famiglia bisognosi di liquidità, anche, e soprattutto, durante l’emergenza pandemica.
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, infatti, il ravennate si sarebbe presentato come rappresentante o presidente di organismi vari, creati appositamente, la cui denominazione poteva facilmente confondersi con quella di note associazioni di categoria o centri studi realmente esistenti e operanti a livello nazionale, millantando anche frequentazioni con politici di primo piano.
Carpita in tal modo la fiducia dei suoi interlocutori, l’indagato avrebbe loro proposto l’ottenimento di finanziamenti a fondo perduto o comunque agevolati, erogati dall’Unione Europea a favore di piccole e medie imprese nonché di privati, previo versamento anticipato di un corrispettivo compreso tra i 600 ed i 1.200 euro per ogni richiesta, come compenso per l’attività di consulenza da lui prestata nell’istruttoria delle relative pratiche, in realtà mai avviate.
Per fornire una parvenza di regolarità e credibilità all’operazione il proponente avrebbe fatto sottoscrivere ai malcapitati perfino un formale atto di “conferimento di incarico di consulenza” a suo dire necessario per avviare la pratica, e quando le persone cominciavano a lamentarsi per il mancato accredito delle somme richieste, avrebbe perfino fatto loro recapitare false comunicazioni da parte di fantomatici organismi dell’Unione Europea, con tanto di loghi ufficiali abilmente riprodotti, attestanti l’accoglimento delle istanze e la prossima erogazione delle somme richieste.
In molti casi, poi, creando falsi profili riconducibili a funzionari in servizio presso le istituzioni comunitarie, lo stesso indagato, utilizzando un’utenza telefonica croata, inviava messaggi a nome dei predetti che poi mostrava o inoltrava alle vittime per indurle ulteriormente in errore circa la buona riuscita delle operazioni finanziarie. Sulla base di tale documentazione artatamente confezionata, in alcuni casi gli interessati hanno anche acquistato beni e fatto investimenti con rateizzazioni per le quali sono risultati inevitabilmente inadempienti non avendo mai ricevuto le somme sperate e patendo, quindi, ulteriori danni patrimoniali in aggiunta a quanto inutilmente e illecitamente versato all’indagato.
Per espandere repentinamente il giro d’affari, infine, l’indagato non si sarebbe fatto scrupoli nemmeno a coinvolgere le sue stesse “vittime” nel sistema illecito, promettendogli un compenso in caso di presentazione di nuove persone interessate a queste forme di finanziamento. In questo modo il passaparola si è dimostrato un volano incredibile di procacciamento di altre vittime, moltiplicatisi velocemente soprattutto nel corso della pandemia, quando agricoltori e piccoli imprenditori in crisi di liquidità vedevano in queste soluzioni finanziarie una possibile ancora di sopravvivenza.
Le truffe si sarebbero consumate su tutto il territorio nazionale, ma avrebbero interessato prevalentemente le regioni Emilia-Romagna, Piemonte, Lombardia, Molise, Campania e Lazio, ed in particolare le province di Alessandria, Asti, Bologna, Brescia, Campobasso, Caserta, Como, Cuneo, Ferrara, Forlì-Cesena, Frosinone, Isernia, Latina, Lodi, Milano, Modena, Napoli, Novara, Pavia, Piacenza, Ravenna, Reggio Emilia, Rimini, Roma, Salerno, Torino, Varese, Vercelli e Viterbo.
Alla luce di quanto emerso il soggetto investigato è stato denunciato per truffa aggravata (art. 640 c.p.) e per falsità materiale (art. 482 c.p.). Inoltre, nel corso delle indagini sono state sottoposte a sequestro le somme ancora giacenti su suoi conti correnti per circa 24.000 euro. Terminata l’indagine penale i finanzieri hanno quindi avviato i conseguenti accertamenti amministrativi al fine almeno di ricondurre a tassazione la ricchezza illecitamente accumulata dall’indagato grazie a questa sua perdurante e pervicace attività illecita.
Sono stati quindi eseguiti mirati accertamenti bancari e finanziari per tutte le annualità ancora fiscalmente contestabili e, verificate tutte le entrate finanziarie non denunciate al Fisco, sono stati recuperati a tassazione oltre 650mila euro di proventi illeciti sui quali ora il soggetto sarà chiamato a pagare le imposte e le connesse sanzioni amministrative.