Sempre più indifferenti al lavoro

Si fatica senza entusiasmo perchè ci si logora dentro. E’ un malessere psicologico che attanaglia numerosissimi lavoratori italiani ma il rimedio c’è.

I lavoratori italiani sempre più insoddisfatti del proprio impiego. Negli ultimi anni la ricerca sociale ha constatato che i lavoratori italiani sembrano orientati ad un sano equilibrio tra un buon ambiente di lavoro e vita privata. Tuttavia questi obiettivi, spesso, non vengono raggiunti. Ed ecco che si insinua uno strano malessere, l’indifferenza per quello che si fa. Gli esperti hanno definito questa condizione “quiet cracking”.

Si tratta di un malessere psicologico silenzioso e subdolo, dove si continua a lavorare svolgendo i propri compiti, ma senza più entusiasmo e con un crescente logoramento interiore, stress e stanchezza emotiva. Chi ne è affetto continua a dare il massimo (o quasi), ma a costo del proprio benessere. È una condizione che si verifica quando si continua ad esercitare un lavoro insoddisfacente per paura del cambiamento o per necessità economiche, accettando lentamente un disagio che può diventare insopportabile e logorante. 

La produttività, in questo caso, non è sinonimo di benessere, tutt’altro. Ci si immola ad essa, compiendo le mansioni dovute, ma si patisce stress fisico e mentale. Le traduzioni più attendibili del temine sono “rompersi” o “incrinarsi silenzioso“. Vale a dire, pur restando sul proprio posto di lavoro, si crolla lentamente, proprio come una crepa che si allarga sempre di più.

Una condizione sotterranea, ma alla lunga letale. Secondo una ricerca di Gallup – una celebre società di ricerca e consulenza statunitense fondata nel 1935, nota per i suoi sondaggi d’opinione pubblica e per gli studi sul coinvolgimento e il benessere dei dipendenti-il fenomeno riguarda quasi il 50% della forza lavoro mondiale. I sintomi si manifestano con carenza di entusiasmo, stanchezza assidua, stati ansiosi, minima partecipazione alle riunioni e indifferenza.

Ora un management attento al benessere dei dipendenti e non solo al profitto ad ogni costo, dovrebbe preoccuparsi e agire di conseguenza con empatia, dialogo e riconoscimento. Anche perché il “quiet cracking” rischia di diffondersi e potrà essere antieconomico per le aziende stesse. La ricerca, infine, propone una sorta di libretto di istruzioni per contrastarlo. Dividere l’aspetto professionale da quello privato, non rispondere quando non si è al lavoro a mail o messaggi, riposare. Sono semplice abitudini conosciute dalla notte dei tempi. Non ci vuole la zingara per indovinare la ventura, come recita un antico motto partenopeo.

I rimedi ci sono e purchè non si prenda come scusa per non lavorare…

Rilassarsi con una passeggiata, con esercizi fisici o yoga, contribuisce ad eliminare lo stress e a ricaricarsi. Se poi lo si fa con qualcuno esperto della materia, i risultati saranno più facilmente raggiungibili. Anche la Scienza ha confermato che staccando dagli impegni quotidiani, si ricaricano le pile, come si suole dire in gergo. La pausa migliora la produttività, riduce lo stress mentale e aiuta a sopportare il ritmo lavorativo. Se si è oberati dai carichi di lavoro, è utile parlare col proprio dirigente.

Non è sinonimo di fragilità, ma di serietà. Rapportarsi con franchezza è uno stimolo per la revisione del ritmo lavorativo, precisa quali siano le priorità e cerca di evitare lo stress psicologico. Indicazioni che, una volta attuate, favoriscono un ambiente di lavoro più salubre e cooperativo. Qualunque strumento che possa contribuire al benessere dei lavoratori è ben accetto.

Tuttavia si ripete sempre lo stesso scenario. Per il lavoro si sacrificano vite umane, si creano problemi se ce l’hai e, pure, se ne sei sprovvisto. Una vera maledizione!