Saman Abbas

Saman Abbas: “Uccisa perché voleva vivere la sua vita”

L’avvocato Angeletti: “Riconosciuta l’aggravante della premeditazione condizionata, che si sarebbe attivata se Saman avesse perseverato nella sua ricerca di libertà”.

Novellara – Sono state rese note le motivazioni della sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Bologna che lo scorso 18 aprile ha condannato all’ergastolo i genitori e i cugini di Saman Abbas, la diciottenne pakistana uccisa dopo essersi rifiutata di accettare un matrimonio combinato. Allo zio Danish Hasnain comminata una condanna a 22 anni di reclusione.

In un documento di 450 pagine, i giudici hanno delineato un quadro drammatico in cui i genitori di Saman non si sarebbero limitati a non opporsi “al volere del clan familiare di uccidere la 18enne” ma avrebbero attivamente indotto la ragazza a uscire di casa proprio nel momento stabilito per l’esecuzione del delitto.

La ricostruzione: “Accompagnata verso i suoi carnefici”

Secondo la Corte, la giovane è stata deliberatamente guidata a percorrere il sentiero dove l’attendevano i suoi assassini. I genitori, pur non essendo gli esecutori materiali, vengono considerati dai giudici come veri e propri autori del delitto per il ruolo attivo svolto nell’orchestrare la morte della figlia.

Saman e la madre

Un elemento significativo emerso dalle indagini riguarda i movimenti della madre, Nazia Shaheen. I giudici hanno escluso che possa essere stata lei l’esecutrice materiale dell’omicidio, dal momento che dopo aver raggiunto il marito è tornata sola, davanti casa, dopo appena 53 secondi. “L’esiguità di tale lasso temporale, oltre che l’aspetto composto e ordinato di Nazia, indicano che in quegli istanti la 18enne stava lottando per la vita contro i suoi assassini materiali”, si legge nella sentenza.

L’aggravante della “premeditazione condizionata”

L’avvocato Riziero Angeletti, difensore dell’Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia nel processo, ha commentato la decisione sottolineando un aspetto giuridico particolare:

“Mi inorgoglisce il fatto che la Corte abbia riconosciuto la sussistenza delle aggravanti della premeditazione e dei motivi abietti e futili così come da me richiesto precisando le conclusioni in una apposita memoria depositata nel fascicolo d’appello. Il dato giuridico che ha trovato condivisione prioritaria è costituito dal riconoscimento dell’aggravante della premeditazione cosiddetta. condizionata. Si tratta di organizzazione premeditata che nella volontà degli imputati si sarebbe concretizzata nell’uccisione di Saman se la giovane avesse perseverato nel pretendere di vivere secondo canoni di libertà non condivisi da una cultura familiare antidiluviana. Nel momento in cui Saman ha mostrato la volontà di vivere la sua vita, è scattata la faida omicidiaria da parte dei familiari più stretti”.

Avvocato Riziero Angeletti

I giudici hanno evidenziato come il clan familiare “non sopportava il desiderio di autonomia di Saman. “La determinazione omicida è stata assunta dal clan con fredda lucidità e programmata per un congruo lasso di tempo”, scrivono nella sentenza, spiegando che “ritenevano insopportabile che la 18enne avesse deciso di vivere liberamente la propria vita, non in sintonia con i valori etici e il credo religioso della famiglia”.

Un ruolo cruciale nel processo lo ha avuto la testimonianza del fratello minore di Saman, che aveva accusato i propri familiari costituendosi parte civile contro di loro. Se in primo grado la sua testimonianza era stata considerata non attendibile, i giudici d’appello hanno invece ritenuto credibile “la ricostruzione articolata, coerente e credibile degli eventi quantomeno nel loro nucleo essenziale”.

La Corte ha descritto una “figura di giovane ragazzo che vive in un Paese che non sente come il suo, quasi esclusivamente all’interno di un microcosmo costituito dal proprio clan familiare che improvvisamente viene privato della propria sorella, certamente un punto fermo affettivo per lui”, confermando la sua “assoluta estraneità al concerto criminoso”.

Nazia Shaheen era fuggita in Pakistan insieme al marito nel maggio 2021, il giorno dopo l’omicidio della figlia. La donna è stata arrestata nel maggio 2024 ed estradata in Italia il 22 agosto dello stesso anno. Il padre Shabbar Abbas era stato catturato in Punjab a metà novembre 2022 ed estradato in Italia dopo un lungo iter giudiziario, al termine del quale è stato anch’egli condannato all’ergastolo.

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