Con i pescatori siciliani in Libia è andata bene. Stessa cosa con il rientro in Italia di Chico Forti. Perché con la tragica vicenda di Giulio Regeni la diplomazia non funziona?
Roma – “Continuano a gettare fango”. Con queste parole Claudio e Paola Regeni commentano le ultime dichiarazioni della procura egiziana, in merito alla terribile vicenda che ha portato alla morte il compianto Giulio nel 2016.
“Confermano ancora una volta l’atteggiamento conosciuto bene negli ultimi cinque anni”, dicono con amarezza i coniugi Regeni, riferendosi alle autorità egiziane, “dimostrano l’impunità di cui sentono di godere scaricando la responsabilità su persone innocenti. È come se avesse parlato direttamente Al Sisi, è uno schiaffo non solo a noi ma all’intera Italia. E il Governo italiano è troppo remissivo e troppo debole, le sue sono solo parole senza azioni conseguenti”.
E allora ci pensano loro a cercare di dare una svolta a queste vergognose indagini che, ancora una volta, sembrano destinate a cadere nel vuoto e lo fanno con un esposto contro il Governo italiano, per violazione della legge in materia di vendita di armi a Paesi “autori di gravi violazioni dei diritti umani”, con conseguente violazione della legge 185/90.
Sono gli stessi coniugi Regeni a farlo sapere. Una decisione che fa riferimento alla vendita di due fregate all’Egitto da parte dell’esecutivo di Giuseppe Conte (la multiruolo Fremm Spartaco Schergat, che ora porta il nome “Al Galala”, costruita da Fincantieri) e consegnata il 23 dicembre scorso a La Spezia in un silenzio colpevole. La denuncia è stata redatta dall’avvocato Alessandra Ballerini, legale dei genitori di Giulio.
Mentre a Roma chinano il capo di fronte al Cairo, sono questi due cittadini, vittime di una tragedia che ha segnato per sempre la loro vita, a continuare la battaglia per la verità e la giustizia, virtù che non sembrano scuotere troppo le coscienze dei nostri parlamentari e ministri. Se l’Egitto è colpevole, l’Italia, nella sua vigliaccheria, è complice.
I rapporti diplomatici valgono la vita di un giovane? Neanche per sogno. E su una simile questione non si può transigere. Intanto la Procura egiziana insiste sulla propria linea di omertà. I magistrati comunicano che non sussiste una solida base per procedere penalmente sull’omicidio di Giulio Regeni. 120 sono i testimoni ascoltati ma non sarebbero emerse prove sufficienti:”… Non avete in mano alcuna prova – dicono i magistrati egiziani ai loro colleghi romani – è inutile tutto ciò che avete fatto…”.
Come zuccherino per indorare la pillola, viene specificato che il Pm egiziano ha comunque dato disposizione affinché le agenzie investigative continuino la ricerca dei colpevoli. Sono tuttavia state ritirate tutte le accuse nei confronti di quattro guardie carcerarie e di un agente della sicurezza nazionale, ai quali la Procura di Roma ha imputato i reati di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e concorso aggravato in lesioni personali.
Ennesimo schiaffo e non solo all’Italia, ma agli stessi diritti umani. Fingere di indignarsi e spendere belle parole nei confronti di Patrick Zaki – lo studente egiziano iscritto all’università di Bologna e fervente attivista attualmente detenuto in Egitto – non serve a niente se, nei fatti, si finge che nulla sia accaduto.
Basterebbe un gesto solo, forte e determinato, come si conviene ad una nazione che si fa rispettare: richiamare l’ambasciatore italiano in Egitto. L’hanno suggerito i Regeni in più occasioni: “lo chiediamo come atto forte. Con queste persone, con questo governo, non si tratta, bisogna reagire, perché diversamente i nostri figli non saranno più sicuri, perderanno fiducia e speranza”. E questo no, non lo possiamo permettere.
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