Ucciso il 29 luglio 1983 a Palermo con un’autobomba, fu il fondatore del pool antimafia e l’artefice di una nuova strategia investigativa e culturale contro Cosa Nostra. La sua eredità è ancora oggi un faro nella difesa della legalità.
Palermo – Erano le 8.05 del mattino del 29 luglio 1983 quando una Fiat 126 verde imbottita con 75 chili di tritolo esplose in via Pipitone Federico a Palermo. Il giudice Rocco Chinnici stava per salire sulla sua Alfetta blindata quando il boss di Resuttana, Antonino Madonia, azionò il telecomando. L’esplosione uccise il magistrato insieme al maresciallo Mario Trapassi, all’appuntato Salvatore Bartolotta e a Stefano Li Sacchi, portiere dello stabile in cui abitava Chinnici.
Palermo, si disse allora, era diventata una “Beirut”. Ma quella bomba non eliminò solo un uomo: cancellò il magistrato che aveva cambiato per sempre la lotta alla mafia in Italia.
Il rivoluzionario del pool antimafia
Rocco Chinnici, originario di Misilmeri, aveva intuito quello che nessuno prima di lui aveva compreso: che solo attraverso un lavoro di squadra si poteva contrastare efficacemente Cosa Nostra. Alla fine del 1979, nominato capo dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo, diede vita al pool antimafia, chiamando a sé colleghi allora giovani come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Le sue innovazioni andarono ben oltre. Diede un prezioso contributo tecnico alla stesura della legge Rognoni-La Torre e, in particolare, alla definizione del reato di associazione “di tipo mafioso” previsto dall’articolo 416 bis del Codice Penale, insieme al potenziamento della prevenzione patrimoniale. Fu inoltre il primo magistrato a uscire dalle aule dei Tribunali per andare nelle scuole a parlare ai ragazzi dei pericoli della droga, il cui traffico mondiale era allora l’attività principale della mafia.
“Un magistrato che credeva nella cultura”
“Mio padre non è stato solo un magistrato che ha combattuto la mafia nelle aule di giustizia ma ha portato il proprio impegno anche sul piano legislativo e operativo”, spiega oggi Caterina Chinnici, europarlamentare e figlia del magistrato. “Ha innovato profondamente l’azione di contrasto alle organizzazioni criminali con la creazione del pool antimafia, con il contributo decisivo all’introduzione del reato di associazione a delinquere di tipo mafioso e delle misure di contrasto patrimoniali, con l’avvio delle prime indagini bancarie e societarie”.

Ma Rocco Chinnici credeva soprattutto nel potere della cultura. “Credeva fortemente nella necessità di accompagnare l’azione di contrasto investigativa e giudiziaria, con un’opera di profondo rinnovamento culturale, di stimolo delle coscienze individuali e collettive”, ricorda la figlia. “Ciascuno, diceva, rivolgendosi in particolare ai giovani, deve sentire ‘imperioso’ il bisogno di compiere il proprio dovere di cittadino, perché la mafia possa essere affrontata e contrastata davvero con successo”.
I mandanti: un potentato politico-economico
Il processo per l’omicidio Chinnici ha rivelato una verità agghiacciante: l’uccisione fu voluta dai cugini Nino e Ignazio Salvo e ordinata dalla cupola mafiosa per le indagini che il magistrato conduceva sui collegamenti tra la mafia e i santuari politico-economici. Il 14 aprile 2000, la Corte d’assise di Caltanissetta condannò all’ergastolo esecutori e mandanti, tra cui Salvatore Riina, Bernardo Provenzano e Antonino Madonia. Le condanne furono confermate in Cassazione nel novembre 2003.
Come ha scritto il magistrato Nino Di Matteo nel suo libro “Collusi”: “Questa volta, Cosa Nostra aveva agito su input di altri. A dare il via era stato un vero e proprio potentato economico-politico, costituito da soggetti la cui autorevolezza criminale derivava dall’inserimento in un circuito esterno all’organizzazione mafiosa”.
Un metodo sempre attuale
“Il metodo Chinnici è sempre attuale”, sottolinea Matteo Frasca, Presidente della Corte d’Appello di Palermo. “Un metodo che va, naturalmente, attualizzato in relazione alle nuove tecniche delle organizzazioni criminali che, ovviamente, hanno frontiere e strumenti operativi sicuramente diversi da quelli di 40 anni fa”. Ma non si tratta solo del metodo investigativo: “È il modo di concepire lo Stato, uno Stato per la difesa dei diritti e della legalità, che tutela i deboli e che non fa sconti nei confronti di nessuno”.
Quarantadue anni dopo quella tragica mattina di luglio, l’eredità di Rocco Chinnici continua a vivere nel lavoro quotidiano di magistrati e forze dell’ordine. Il pool antimafia, la sua più grande intuizione, rimane il modello di riferimento nella lotta alla criminalità organizzata.