Roberto Di Bella, il magistrato che ha liberato tanti ragazzi dalla ‘ndrangheta

In un incontro con gli studenti ha raccontato ‘Liberi di scegliere’, un protocollo oggi adottato in diverse realtà dentro e fuori dalla Calabria.

Firenze – Se nasci in un contesto criminale la strada è molto spesso segnata. Ma si può essere liberi di scegliere. Parola di Roberto Di Bella, già presidente del tribunale per i Minori di Reggio Calabria e a capo dal 2020 dello stesso ufficio giudiziario a Catania, che in un incontro con gli studenti del triennio delle superiori di Empoli ha raccontato la sua esperienza di magistrato in prima linea a sostegno dei minori di contesti difficili. “Gli affiliati alla ‘ndrangheta mostrano ai figli lo sgozzamento dei maiali per educarli alla violenza. Molti ragazzi hanno come tatuaggio un carabiniere sulla pianta del piede così da per poterlo calpestare, e ho avuto a che fare con un 16enne ritenuto responsabile di 6 omicidi. L’educazione criminale parte sin dall’infanzia”, ha raccontato il magistrato.

Da oltre 25 anni Di Bella si è occupato dei minori della provincia reggina e ha dato impulso al progetto ‘Liberi di Scegliere’ che oggi è un protocollo governativo e ha permesso a circa 100 ragazzi e alle loro famiglie di uscire dalla malavita. “Il clima della ‘ndrangheta – ha detto – si respira fin da piccoli con i padri detenuti o latitanti. Se porti il cognome di qualche famiglia importante i giovani possono fare shopping senza pagare, sono dei ‘prìncipi ereditari’. Quando il progetto ‘Liberi di Scegliere’ ha cominciato a ingrandirsi, ci siamo rivolti all’associazione Libera, per avere una rete di accoglienza strutturata su tutto il territorio nazionale, molti sono stati ospitati proprio in Toscana e in Emilia Romagna” portando i giovani fuori da Calabria e Sicilia. “Ricevo ancora oggi messaggi di ragazzi condannati da me – ha anche detto – ma che hanno fatto un percorso di riabilitazione importante che li ha portati a uscire dalla morsa della ‘ndrangheta”.

Dopo aver allontanato i ragazzi dalle famiglie “all’inizio c’è un carico emotivo forte, non è semplice – ha proseguito – Ma ho avuto contatti con tanti ragazzi che ce l’hanno fatta, loro mi aiutano ad alleviare il peso dell’incarico”. Alle domande gli studenti di Empoli, Di Bella ha risposto dicendo che la paura di morire “è qualcosa che metti in conto se fai questo mestiere” e di aver ricevuto “minacce”, “ma molti hanno capito che i provvedimenti sui minori non sono punitivi ma a tutela dei figli”. Di Bella ha visto ragazzi che avevano ancora una luce nello sguardo procedere inesorabilmente verso una vita adulta fatta di violenza e carcere duro. E ha capito due cose. La prima è che la ‘ndrangheta non si sceglie, si eredita. La seconda è che non voleva più stare a guardare.

Da questa esperienza ne è nato anche un libro in cui il magistrato testimonia come sia stata una missione mostrare a quei ragazzi altri mondi, altre vite, un futuro ritagliato sui loro sogni e non sulle richieste di una società criminale. E l’unico modo per farlo era allontanarli dalla Calabria, dalla ragnatela di ricatti, pressioni, allusioni che il loro nucleo familiare avrebbe messo in atto. Un percorso non sempre semplice, anzi, spesso faticoso e doloroso, ma che ha restituito a molti ragazzi la possibilità concreta di una vita diversa da quella segnata dal carcere e dalla violenza dei loro padri.

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email
Stampa