Il premier punta a sostituire le caselle dopo le europee. Tra loro il Guardasigilli scelto per il suo spirito libero, forse ha osato troppo.
Roma – Dopo le europee si volta pagina. Un anno e mezzo dopo l’insediamento a Palazzo Chigi, per il premier Giorgia Meloni è arrivato il tempo di cambiare squadra. Per chi suona la campana? Parafrasando Ernest Hemingway e la sua celebre opera, sulla graticola ci sarebbero ben sette ministri, compreso quello della Giustizia Carlo Nordio, colpevole di aver “pestato i calli alla magistratura con i test psico-attitudinali, e in procinto di realizzare la riforma delle riforme: la separazione delle carriere tra giudici e pm.
Un rimpasto di cui hanno già discusso i leader di partito, per rinnovare l’immagine dell’esecutivo e seppellire i flop collezionati in questi mesi. Appare sempre più probabile che nei prossimi mesi si vadano a sostituire alcune caselle dell’esecutivo. Ma non ci sarà alcun Meloni-bis, almeno nelle intenzioni del premier: ipotesi lontana per ora, ipotizzabile solo se i rapporti tra alleati, soprattutto con Salvini, dovessero precipitare. Un’operazione che passerà necessariamente per una nuova fiducia da parte delle Camere, scelta cruciale se i cambiamenti dovessero riguardare, come sembra, dicasteri importanti come la Giustizia o l’Economia.
Ma oltre alla volontà politica, sarebbero altri – e non di poco conto – i fattori da prendere in considerazione, che forzeranno il presidente del Consiglio a rivoluzionare la squadra. A quante pare infatti un ministro sarà destinato a diventare commissario europeo. Tre i nomi papabili per il ruolo: Raffaele Fitto, Giancarlo Giorgetti e Adolfo Urso, mentre un altro evento che si prospetta all’orizzonte sono le sempre più probabili dimissioni della ministra del Turismo, Daniela Santanché.
L’esponente di Fdi dovrebbe lasciare la poltrona governativa in base alla regola messa a punto dalla stessa Meloni, per cui un ministro deve dimettersi se sarà rinviato a giudizio. Intanto le premesse non sono delle migliori, con la mozione di sfiducia che la Camera dovrà affrontare tra mercoledì e giovedì sulle inchieste relative all’attività economica della ministra del Turismo. E ancora, ci sono i ministri in discussione per motivi più politici, perché il modo di gestire i rispettivi dicasteri non soddisfa pienamente Palazzo Chigi o gli altri azionisti di maggioranza.
Le voci si stanno concentrando soprattutto su tre figure: il ministro della Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo, quello dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin e il ministro della Giustizia Carlo Nordio. Mentre i primi due sono stati criticati dalla Lega, sul Guardasigilli si concentrano i maggiori sospetti. Silurato per aver imbroccato la via delle riforme che la casta della magistratura ha bollato come illegittime. Lesa maestà. Lui che non è espressione diretta di alcun partito, era stato scelto da Meloni per il suo essere da sempre uno spirito libero, tanto da arrivare a sfuriate terribili con Silvio Berlusconi che voleva a tutti i costi un azzurro a via Arenula. Un battitore libero, insomma, che ora rischia di ritorcersi contro il suo ruolo che non si piega ai diktat del governo.
Il pensiero va soprattutto alla questione della separazione delle carriere, che il governo ufficialmente continua a sostenere, ma che potrebbe dirigersi, ancora una volta, su un binario morto per favorire l’avanzamento dell’unica riforma costituzionale che veramente interessa a Meloni, e cioè il premierato. Per gestire un passaggio del genere il profilo di ministro ideale è un esperto, diplomatico, capace di eclissarsi quando gli venga richiesto. In aggiunta ci sarebbe anche la nomina di due nuovi sottosegretari alla Cultura e all’Istruzione dopo l’addio di Vittorio Sgarbi e Augusta Montaruli.
Infine, anche se nessun ministro sarà candidato alle elezioni europee, tranne Antonio Tajani, è possibile che Meloni prenda in considerazione cambiamenti di squadra significativi dopo le elezioni soprattutto se Forza Italia dovesse superare la Lega alle urne: scenario che ribalterebbe gli equilibri della maggioranza, per buona pace di Matteo Salvini, sempre più ai margini del piano e ormai in rottura con il premier.