Rapporto Censis: avvocati in fuga dalla professione e sempre più poveri, i dati

Il presidente dell’Ordine di Roma Nesta: “Quasi 13 mila avvocati dichiarano reddito zero, oltre 44mila sfiorano i 10mila euro”.

Roma – Avvocati in fuga. Una professione in trasformazione. Il 2024 è stato caratterizzato da una nuova fles­sione del tasso annuo di crescita degli iscritti alla Cassa Forense, con un decre­mento dell’1,6%. Sul versante della distribuzione per genere, si osserva una leggera prevalenza maschile, con poco più di 124.000 uomini contro 109.300 donne. I dati più recenti indicano una diminuzione nella percentuale di donne iscritte che si attesta al 46,8%, scendendo sotto il dato del 2014 (quando erano il 47,1%), con una inversione della tendenza di crescita iniziata nel 2021, a conferma di un vero e proprio abbandono della profes­sione da parte delle avvocate. È quanto emerge dal IX Rapporto Censis sull’Avvocatura, realizzato dal Censis per la Cassa Forense, che contiene anche un’indagine su un campione di 28.000 avvocati.

Nel 2024, inoltre, il calo degli iscritti ha raggiunto il livello più significativo dell’ul­timo decennio, segnando un saldo negativo di oltre 2.100 unità tra le av­vocate. Si conferma quindi una tendenza ormai consolidata, in cui il numero di professionisti in uscita supera quello delle nuove iscrizioni, con un impatto più evidente sulla componente femminile. Dal 2022 al 2025, si è osservato un continuo miglioramento delle prospettive professionali nell’ambito legale. In particolare, mentre nel 2022, il 28,4% degli avvocati riportava una si­tuazione molto critica, con scarsa attività lavorativa e incertezza professio­nale, tale percentuale è scesa al 22,7% nel 2025 (-5,7%). Le donne si mostrano più colpite da una percezione negativa della loro
situazione lavorativa: il 27,5% la definisce molto critica e il 30,4% abbastanza critica.

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Nell’ultimo anno, è il 33,3% degli avvocati ad aver preso in considerazione l’idea di abbandonare la professione, una percentuale che con­ferma una tendenza già osservata in passato, ma in leggera riduzione (l’an­no scorso erano il 34,6%). La principale motivazione risiede in questioni di natura economica: il 62,9% di coloro che stanno valutando l’uscita segnala infatti costi elevati e una remunerazione percepita come non adeguata. Infatti, anche se il reddito medio annuo per avvocato nel 2023 registra una variazione positiva del 6,8% rispetto al 2022, va evidenziato che il livello del reddito medio, nella categoria, si riesce a raggiungere mediamente solo una volta superati i 50 anni (e per le donne in media questo risultato non viene raggiunto).

Quasi 13 mila avvocati dichiarano reddito zero, oltre 44mila hanno un reddito di 10mila euro l’anno, meno di mille euro al mese. Hanno un reddito compreso fra i 10mila e i 21mila euro ben 45mila avvocati, il che vuol dire per oltre centomila avvocati, la metà del totale, redditi inferiori ai 2mila euro al mese. Per il quarto anno consecutivo si registra una flessione del numero degli iscritti alla professione forense. “Un quadro a tinte fosche – commenta il Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Roma, Paolo Nesta – che vede moltissimi colleghi in forti difficoltà economiche. Per questo credo che sia il momento di sollecitare l’intervento delle
istituzioni”.
La ricetta del Presidente Nesta è chiara: “In primo luogo occorre analizzare quali sono i fattori che hanno reso meno attraente la professione. Ci sono molti fattori di rischio che incidono sui redditi, penso ai tanti, troppi adempimenti amministrativi e fiscali, a un’eccessiva burocratizzazione, ai ritardi nei pagamenti da parte dei clienti, all’offerta sovrabbondante di servizi legali poco regolamentati”.

“Aggiungiamo poi l’instabilità normativa, l’aumento dei costi per l’accesso alla giustizia che scoraggia i cittadini. Ecco, su questi fattori si può e si deve intervenire”. C’è poi il delicato aspetto della disparità di genere che penalizza le avvocatesse, che hanno un reddito pari al 50% di quello percepito dagli uomini. “Un fenomeno meno radicato rispetto al passato – conclude il Presidente del Coa di Roma – Per fortuna certi pregiudizi del passato sono stati superati nel pubblico, ma è paradossale notare che quei pregiudizi rimangono spesso nelle assegnazioni degli incarichi da parte della stessa Autorità Giudiziaria. Ecco, se in merito i capi degli uffici imponessero un maggior rispetto della parità di genere non sarebbe male”. 

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