QUALI INTERESSI DIETRO L’OMICIDIO DI RENATA FONTE?

Dopo 36 anni il movente preciso rimane un mistero ma forse anche i veri mandanti. La cricca che voleva trasformare le oasi in scempio edilizio.

NARDO’ – Il 31 marzo del 1984 moriva ammazzata da due sicari Renata Fonte, 33 anni, assessore all’Ambiente del comune di Nardò dove era nata. Al termine di una riunione in municipio, in tarda serata, la donna veniva assassinata quasi sulla soglia del portone di casa. La vittima era sposata con due figlie. Dopo trentasei anni da quell’atroce delitto che fece scalpore in tutta Italia ed oltre non si è mai saputo tutto. Il movente esatto e la partecipazione di altre persone fra gli esecutori e, forse, anche fra i mandanti, rimangono sconosciuti nonostante sia possibile ipotizzare interessi politici ed economici non da poco.

Ammazzata a colpi di pistola sotto casa.

Renata, una delle poche e autentiche donne in politica, militava nelle file del partito Repubblicano sin da giovanissima. Apprezzata per la sua preparazione, per l’onestà e per la competenza nei diversi settori dell’ecologia era divenuta ben presto consigliere comunale e poi assessore al ramo. La sua era una missione. Una missione difficile e pericolosa perché nel Salento gli interessi sulla cementificazione selvaggia stavano diventando altissimi mentre Renata Fonte si stava battendo per limitare al massimo il danno alla natura del territorio di competenza. La donna aveva promosso una variante al piano regolatore dell’area di Porto Selvaggio, una zona a vocazione naturalistica dove qualcuno avrebbe voluto realizzare un villaggio turistico e non un parco come, invece, sarebbe accaduto anni dopo. Renata Fonte avrebbe dovuto partecipare alla riunione del consiglio comunale durante la quale sarebbe stata approvata la sua mozione che avrebbe trasformato Porto Selvaggio in area preclusa alle nuove costruzioni.

I cittadini di Nardò ed i carabinieri subito dopo l’omicidio della donna.

La povera donna, invece, cadeva sotto diversi colpi di pistola e quella delibera non venne ratificata proprio per la morte dell’assessore. Subito dopo l’omicidio furono avviate le indagini e il primo a cadere nella rete degli inquirenti era stato il marito Attilio Matrangola che si era separato dalla moglie mesi prima ed era partito per il Belgio dove aveva trovato lavoro. A seguito di più approfondite investigazioni e grazie alla testimonianza di due donne (ma grazie anche alle rivelazioni di un pentito) venivano arrestati i due sicari, Giuseppe Durante e Marcello My, gli intermediari Mario Cesari e Pantaleo Sequestro, e il mandante, Antonio Spagnolo, militante del medesimo partito della vittima e suo successore. Spagnolo, infatti, era risultato il primo dei non eletti dopo lo scrutinio delle amministrative ma dopo la morte di Renata non aveva esitato a prendere il suo posto. La sentenza di primo grado aveva decretato la condanna all’ergastolo per Antonio Spagnolo, accusato di omicidio premeditato alla pari con Giuseppe Durante considerato l’autore materiale del delitto. A 24 anni di reclusione erano stati condannati due balordi prezzolati come Mario Cesar e Marcello My, quest’ultimo fiancheggiatore del killer che una volta libero, nel 2009, tornerà in galera per droga e truffe con bancomat.

Il parco di Porto Selvaggio per cui si era battuta Renata Fonte.

Anche una quinta persona, Pantaleo Sequestro era stato condannato a 18 anni per aver fatto da contatto tra Spagnolo e i due sicari. Il secondo grado di giudizio e la Cassazione confermarono le condanne ma non chiarirono i punti oscuri dell’omicidio che rimangono misteriosi. Renata, infatti, aveva ricevuto minacce ma coraggio e rettitudine le avevano imposto di continuare la sua battaglia che avrebbe vinto dopo la sua morte. Si deve al sacrificio della sua vita se oggi e una splendida realtà il parco di Porto Selvaggio (oltre alla Palude del Capitano) a lei dedicato:

La prof. Sabrina Matrangola, una delle figlie della coraggiosa amministratrice,

”…Era una donna a tutto tondo, era un artista, era una mamma e una sposa – ha sempre dichiarato Sabrina Matrangola, professoressa di Lettere, una delle figlie della vittima – scriveva poesie, racconti, era anche e soprattutto conosciuta come donna impegnata in politica, assessore prima alle Finanze, poi alla pubblica Istruzione e alla Cultura. Amava il suo territorio, amava la sua terra e amava la sua gente e per preservare l’ambiente dalle speculazioni e dalle lottizzazioni selvagge del cemento che purtroppo ritornano ricorrentemente e ciclicamente a Porto Selvaggio ha dato la sua vita ed ha sacrificato tutto per salvaguardare il suo Salento…”.

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