Processo Saman Abbas, i genitori in appello: “Non l’abbiamo uccisa noi, è sparita nel buio”

Quarta udienza a Bologna: Shabbar Abbas e Nazia Shaheen si difendono. La madre in lacrime: “Sembro viva, ma sono morta dentro”. Si cerca la verità sull’omicidio di Novellara.

Bologna – “Non sono stata io a uccidere mia figlia.” Con queste parole, rotte dal pianto, Nazia Shaheen, madre di Saman Abbas, ha preso la parola oggi, 20 marzo 2025, nella quarta udienza del processo d’appello davanti alla Corte d’Assise di Bologna. Vestita con un abito tradizionale pachistano e un velo blu scuro, la donna — condannata all’ergastolo in primo grado insieme al marito Shabbar Abbas per l’omicidio della figlia 18enne — ha negato ogni responsabilità nella morte della giovane, scomparsa nella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio 2021 a Novellara (Reggio Emilia). “Siamo usciti insieme, ho visto Saman incamminarsi veloce, poi sparire nel buio,” ha raccontato, chiedendo poi di sospendere l’udienza, sopraffatta dall’emozione.

Anche Shabbar Abbas, padre di Saman, ha ribadito la propria estraneità: “Non siamo stati noi genitori a ucciderla. Abbiamo fatto molta fatica a crescerla, provo un forte dolore che porterò per tutta la vita.” Parlando in pachistano con l’ausilio di un interprete, ha ricostruito gli ultimi momenti: “Uscimmo di casa, lei prese la strada, era buio, non vedemmo nulla.” Entrambi puntano il dito sullo zio Danish Hasnain, condannato a 14 anni in primo grado, e sui cugini, assolti. “Ho sentito Danish dire che c’erano lui e gli altri due, penso siano stati loro,” ha aggiunto Shabbar, riferendosi all’udienza precedente in cui lo zio ha ammesso di aver trovato Saman già morta e di averne seppellito il corpo con i cugini.

La morte di Saman Abbas in una notte di misteri

Il caso di Saman Abbas, strangolata e sepolta vicino alla casa di famiglia—ritrovata solo nel novembre 2022—resta uno dei femminicidi più discussi d’Italia. Secondo l’accusa, la 18enne di origini pakistane fu uccisa per aver rifiutato un matrimonio combinato e per la sua relazione con il fidanzato Saqib Ayub. La Procura di Reggio Emilia, nel processo di primo grado, ha indicato i genitori come mandanti e Danish come esecutore materiale, ma i due imputati oggi si professano innocenti. “Saman voleva andarsene, tornare in comunità,” ha detto Nazia. “Abbiamo cercato di convincerla a restare.”

Saman Abbas
Saman Abbas

Shabbar ha arricchito il racconto con un dettaglio: una chiamata ricevuta da Saman dal bagno, quella sera. “Disse ‘vieni a prendermi’, pensavo fosse il ragazzo. Chiamai Danish per dargli una lezione, ma senza esagerare. Uscii per controllare, ma non vidi né sentii nulla.” La mattina dopo, Danish avrebbe riferito che “non era successo niente.” Poi, la fuga in Pakistan dei genitori, un elemento che ha pesato nel verdetto di primo grado.

Le versioni a confronto

Le dichiarazioni dei genitori contrastano con quelle dello zio Danish Hasnain, che nella scorsa udienza ha negato di aver ucciso Saman, limitandosi a confermare di averne occultato il corpo. Il fratello minore Ali Haider, invece, ha puntato il dito contro Danish, dichiarando di averlo visto strangolare la sorella. La Corte, presieduta da Domenico Stigliano, dovrà ora valutare la credibilità di questi racconti, mentre la difesa—rappresentata dagli avvocati Sheila Foti per Shabbar e Liberata D’Agostino per Nazia—insiste sull’assenza di prove dirette contro i genitori. “Non c’è stata pianificazione,” ha sottolineato Nazia, “non so nulla di quello che è successo.”

Un dolore che non si spegne

Tra le lacrime, Nazia ha dipinto un ritratto straziante: “Sembro viva, ma sono morta dentro. Dal 2020, quando Saman è andata in comunità, penso solo a lei. Ho insistito per tornare in Italia e dire la verità.” Shabbar ha fatto eco: “Non dimenticherò mai mia figlia.” Entrambi chiedono di vedere il figlio minore, oggi 21enne, che non li ha mai incontrati in carcere. La Corte ha chiarito che serve una richiesta formale del giovane.

L’udienza si è chiusa con due genitori distrutti, un’accusa che li inchioda e un delitto ancora avvolto da ombre. La sentenza d’appello, attesa nelle prossime settimane, potrebbe confermare l’ergastolo o ribaltare il caso.

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