Prato, lavoratori “servi” nel laboratorio d’abbigliamento cinese: due aguzzini in manette [VIDEO]

L’inchiesta della Gdf è partita dalla denuncia di un dipendente connazionale. Pagavano 13 centesimi a vestito prodotto e non esistevano domeniche o riposi.

Prato – Denunciati da un connazionale sfruttato, due imprenditori cinesi sono finiti agli arresti domiciliari, mentre due loro familiari hanno avuto il divieto di dimora nel Comune di Prato.

L’inchiesta che ha portato ai provvedimenti è nata dalla collaborazione di un lavoratore cinese irregolare sul territorio nazionale, il quale ha sporto denuncia presso la Procura Prato. Questi, per qualche mese, ha lavorato come operaio presso una ditta di confezioni per abbigliamento (gestita da un connazionale) ininterrottamente per tredici ore al giorno, 7 giorni su 7, in luoghi privi delle minimali cautele prevenzionistiche, senza nessuna tutela o garanzia sindacale, percependo un salario miserevole e dimorando in un alloggio di fortuna ricavato nel sottotetto di un’abitazione/dormitorio.

I finanzieri sono risaliti al capannone dove l’uomo aveva lavorato, nella zona dell’Ippodromo di Prato. All’interno c’erano due strutture produttive (tra loro collegate), di fatto gestiti da due nuclei familiari di origine cinese (inquadrati come semplici dipendenti), i quali avevano operato precedentemente, in una sorta di continuità aziendale, attraverso altre imprese dislocate nel medesimo immobile, una subentrata all’altra con nuova denominazione e partita IVA, al fine di sottrarsi ai controlli delle istituzioni e ai debiti maturati con l’erario.

Nel capannone venivano prodotti capi d’abbigliamento di distinte ditte individuali, le quali avevano come “terminali” i rispettivi showroom per la vendita. Dalle indagini sono emersi – in danno di almeno 24 extracomunitari (di cui 4 clandestini) occupati in tempi diversi, in prevalenza di nazionalità cinese – evidenti indici di sfruttamento lavorativo, quali turni massacranti fino a 13 ore, con punte di 14 ore, per 7 giorni settimanali, a fronte di stipendi mensili corrisposti in modo irregolare (in contanti e “a nero”), senza garanzie in termini di tutele sindacali e in tema di malattia, riposi settimanali, tredicesima e ferie. Parte dei lavoratori era inoltre alloggiata in dormitori funzionali al sito di produzione, caratterizzati da condizioni igienico-sanitarie carenti e da sovraffollamento.

Inoltre, nel corso delle indagini sono stati rinvenuti anche i “diari di lavoro” manoscritti da ciascun lavoratore, ove veniva annotata la produzione giornaliera e le rispettive paghe corrisposte, la cui disamina ha consentito di ricostruire il prezzo pagato per ogni capo di abbigliamento prodotto, pari a circa 13 centesimi.

Nel contesto investigato, è emersa chiaramente la volontà dei gestori di fatto delle ditte in questione di massimizzare il profitto a qualunque costo (sociale, umano, sanitario, previdenziale), obiettivo perseguito anche attraverso l’abbattimento del costo del lavoro, creando una evidente distorsione economico-concorrenziale con le altre aziende del medesimo settore che rispettano le regole e sopportano costi maggiori. I militari hanno inoltre dato esecuzione ad un sequestro preventivo, finalizzato alla confisca del profitto del reato, costituito dai debiti previdenziali dovuti, per un importo complessivo pari a oltre 184mila euro.

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