Ponte Morandi, verso la sentenza finale

Il maxi processo con 57 imputati dovrebbe concludersi nell’estate 2026, mentre Genova si prepara a ricordare il settimo anniversario del crollo che costò la vita a 43 persone.

Genova – Sette anni dopo il crollo del ponte Morandi, Genova si prepara a voltare una delle pagine più dolorose della sua storia recente. La sentenza del maxi processo che vede alla sbarra 57 imputati per la tragedia del 14 agosto 2018 dovrebbe arrivare nell’estate del 2026, in quello che rappresenta uno dei dibattimenti più complessi e significativi degli ultimi decenni nella giustizia italiana.

Un anniversario nel pieno della requisitoria

Giovedì prossimo – 14 agosto – la città ricorderà il settimo anniversario della tragedia che spezzò in due non solo il viadotto Polcevera ma l’intera comunità genovese. Una data che quest’anno assume un significato particolare, cadendo nel pieno della requisitoria fiume dei pubblici ministeri Walter Cotugno e Marco Airoldi. I due magistrati hanno preso la parola il 16 giugno scorso, aprendo il loro intervento con la lettura, uno per uno, dei nomi delle 43 vittime. Le richieste di condanna dovrebbero concludersi entro la fine di settembre, dopo mesi di analisi dettagliata delle responsabilità.

Il crollo del ponte Morandi

La requisitoria si svolge nella tensostruttura allestita nell’atrio del palazzo di giustizia durante il Covid, soluzione che si è resa necessaria per ospitare un dibattimento di tale portata. I tempi dilatati, proporzionati alla complessità del caso, hanno però già prodotto le prime prescrizioni: le accuse di falso sono già andate in fumo, mentre prima della sentenza dovrebbe prescriversi anche il reato di lesioni.

Il nodo delle prescrizioni differenziate

Una delle peculiarità di questo processo riguarda le diverse tempistiche di prescrizione che si applicano ai 57 imputati. Chi tra gli accusati di Autostrade per l’Italia e della ex società Spea aveva interrotto il rapporto di lavoro in tempi remoti rispetto al crollo potrà beneficiare di una legislazione più favorevole. Diversa la situazione per funzionari e manager che erano in servizio il 14 agosto 2018, per i quali la prescrizione dovrebbe scattare tra il 2031 e il 2036.

Tra questi ultimi figurano l’ex amministratore delegato Giovanni Castellucci e il suo numero due Paolo Berti, attualmente in carcere dopo il verdetto definitivo per la strage ferroviaria di Avellino. Non sono gli unici condannati per quel disastro a sedere sul banco degli imputati genovesi: con loro ci sono Riccardo Mollo, Michele Renzi e Nicola Spadavecchia.

La roadmap verso la sentenza

Terminata la requisitoria entro settembre, sarà il turno delle parti civili e successivamente delle difese, con il processo che procede al ritmo di tre udienze a settimana. Questa tabella di marcia porta alla stima condivisa di una sentenza nell’estate 2026, anche se il momento preciso dipenderà da diversi fattori, inclusa l’eventuale pausa feriale di agosto.

Il collegio giudicante, formato dal presidente Paolo Lepri e dai giudici Ferdinando Baldini e Fulvio Polidori, dovrà valutare un impianto accusatorio costruito sui risultati delle perizie tecniche svolte durante i due incidenti probatori e il supplemento di perizia disposto dal tribunale stesso.

Le prove tecniche e il “vizio occulto”

Le perizie rappresentano il cuore tecnico del processo e hanno sostanzialmente confermato gran parte delle accuse mosse dalla Procura, pur evidenziando la presenza del cosiddetto “vizio occulto”, elemento su cui puntano le difese. I periti hanno messo in luce le gravi carenze nelle attività di manutenzione da parte di Autostrade per l’Italia e Spea, carenze che hanno contribuito al cedimento fatale di uno degli stralli del Morandi sotto la pioggia torrenziale del 14 agosto 2018.

Particolarmente significative le conclusioni tecniche che identificano nella “corrosione della parte sommitale del tirante della pila 9” la causa scatenante del crollo. La perizia evidenzia come questa corrosione si sia sviluppata “in zone di cavità e mancata iniezione formatesi nella costruzione del ponte”, sottolineando che “la mancanza e/o l’inadeguatezza dei controlli e delle conseguenti azioni correttive costituiscono gli anelli deboli del sistema”.

Partendo da queste evidenze tecniche, i pubblici ministeri hanno costruito un complesso castello accusatorio che però ha subito alcune modifiche rispetto all’impianto iniziale. Significativa la decisione di non contestare l’attentato alla sicurezza dei trasporti: “Non ci sono prove definitive sul dolo”, ha spiegato il pm Cotugno, “requisito fondamentale affinché quell’addebito sia mosso”.

Mentre Genova si prepara a ricordare le sue 43 vittime, la città guarda con speranza a una conclusione che possa finalmente fare chiarezza su una delle tragedie più devastanti del Paese.

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