Latitante da trent’anni, il boss si nascondeva in Sicilia e si curava a Palermo. Ora è caccia agli insospettabili che lo hanno protetto e al suo archivio.
Palermo – Esattamente un anno fa – erano da poco scoccate le nove del mattino del 16 gennaio 2023 – nella nota clinica privata palermitana La Maddalena, la primula rossa di Cosa Nostra, l’imprendibile boss Matteo Messina Denaro, latitante da trent’anni, cadeva nella rete gettata dai carabinieri del Ros e dalla Procura di Palermo guidata da Maurizio De Lucia.
“L’abbiamo preso” annunciano orgogliosi i militari. Battuta dalle agenzie di stampa la notizia fa il giro del mondo, negli stessi minuti a Palermo, intorno alla clinica, una piccola folla di cittadini si stringe plaudente intorno agli inquirenti. Poi si scopre che l’uomo più ricercato d’Italia aveva raggiunto La Maddalena almeno altre 50 volte nei mesi precedenti, per sottoporsi a cicli periodici di chemioterapia in seguito alla diagnosi di cancro al colon. Era a pochi chilometri dal suo paese natale, Castelvetrano, non molti di più da Campobello di Mazara, dove il boss aveva il suo covo.
Capellino bianco in testa, occhiali da sole e mascherina nera, imbacuccato in un montone griffato e con al polso un Frank Muller da 35 mila euro, il boss al carabiniere che lo ha bloccato ha risposto “Mi chiamo Matteo Messina Denaro”. Fuori dalla clinica lo aspettava come al solito l’autista, un imprenditore di Campobello di Mazara, Giovanni Luppino: era lui ad accompagnare ogni volta il padrino alla sessione di cure.
I primi particolari sulla clamorosa cattura arrivano in giornata, ma ci vorranno mesi prima che gli inquirenti, impegnati allora e ancora oggi nel disvelare la rete di connivenze che ha permesso al boss di farsi beffe dello Stato così a lungo, definiscano più chiaramente i contorni dell’operazione. A partire dalla falsa identità che permetteva al boss di curarsi alla luce del sole a Palermo, quella di Andrea Bonafede, geometra di Campobello, nipote del capomafia Leonardo. La svolta alle indagini era arrivata a dicembre grazie alle microspie piazzate nella casa della sorella del boss Rosalia, attraverso le quali gli inquirenti erano giunti a mettere le mani su un diario clinico redatto dalla donna e nascosto nella gamba di una sedia. Raccontava senza citare il nome del paziente la grave malattia del fratello, in cura per un aggressivo cancro al colon.
Ascolta l’audio integrale dell’interrogatorio del 16 febbraio 2023
Ecco l’audio integrale dell’interrogatorio di Matteo Messina Denaro, registrato un mese dopo la sua cattura, quando venne ascoltato in videoconferenza dal Gip di Palermo Alfredo Montalto durante il processo in cui era imputato. Era il 16 febbraio del 2023 e il boss era in collegamento dal carcere de L’Aquila, dov’era detenuto al regime del 41 bis.
Un approfondito screening su tutti i malati di tumore in Italia porta i carabinieri a isolare la figura di Andrea Bonafede, compatibile per età e luogo di residenza al padrino. A conferma dei sospetti riguardo uno scambio d’identità, quando il falso Bonafede si sottopone alla chemio in clinica, il vero geometra è da tutt’altra parte. Il giorno del blitz, è un lunedì, il falso Andrea Bonafede ha il cellulare mappato sin dalla partenza da Campobello di Mazara. Arriva a Palermo alle 7:26 e si registra alle 8:13 alla clinica La Maddalena, è il momento del celebre tragitto a piedi del capomafia, il video diventato iconica testimonianza del giorno dell’arresto. Ma invece che salire in clinica il boss esce dalla struttura e per una manciata di minuti i carabinieri lo perdono di vista: Messina Denaro e il suo autista Giovanni Luppino aspettano su una Fiat Bravo, parcheggiata in via Domenica Lo Faso, una stradina a pochi passi dalla clinica, il turno per iniziare il ciclo di cure. Quindi l’arresto.
Messina Denaro viene trasferito nel carcere de L’Aquila, mentre il suo arresto fa cadere la prima tessera, la più importante, di un domino che nei giorni e nelle settimane successive vede disvelarsi i covi del latitante, cadere i protagonisti della fitta rete di fiancheggiatori – finora ne sono stati presi nove – che lo hanno protetto nella latitanza. Saltano fuori i diari, le lettere e i pizzini, le istruzioni per non farsi scoprire dagli investigatori. Da latitante ha trovato il modo di ricambiare l’amore della maestra Laura Bonafede, di creare un rapporto solido con la figlia di quest’ultima, Martina Gentile. In punto di morte di ricostruire anche quello con la figlia Lorenza, per troppo tempo segnato da incomprensioni. Alla fine la ragazza ha scelto di prendere il cognome del padre. Ad un anno dalla cattura e a cinque mesi dalla morte del boss, il 24 settembre 2023, l’inchiesta è più aperta che mai, per fare luce sui trent’anni del capomafia, sugli insospettabili che lo hanno protetto, su altri covi segreti ancora da disvelare. Messina Denaro era l’ultimo boss rimasto in libertà a conoscere i misteri delle stragi di mafia. Ecco perché la procura di Palermo continua a dare la caccia a un possibile rifugio mai individuato, usato dall’ex inafferrabile come archivio segreto di carte scottanti.
Intanto ad un anno dall’arresto il disvelamento dei diari segreti del boss mafioso rivelano un Messina Denaro privato, che con scrittura ordinata appuntava su quelli che chiamava libricini riflessioni e racconti di vita, pensieri rivolti soprattutto alla figlia Lorenza, riconosciuta poco prima di morire. Senza però dismettere il tono sarcastico quando commentava gli identikit tracciati dagli investigatori che gli davano la caccia. Ma quello che premeva al boss era soprattutto la figlia: “Le volevo raccontare la mia vita… lo desideravo, per dirle senza filtri quel che mi era successo. Deciderà lei se leggerlo o bruciarlo”, appunta. E negli scritti emerge forte il difficile rapporto con Lorenza: “Vorrei che ti ricordassi di me. Se tu ti ricordassi di me non importerebbe nulla neanche se tutti gli altri mi dimesticassero”.