I soldi, frutto di peculato compiuto dal padre ai danni dello Stato, erano stati reinvestiti nell’azienda agricola di famiglia e poi incassati dalla figlia con la vendita del ramo d’impresa.
Palermo – Il Tribunale di Palermo – Sezione Misure di Prevenzione ha disposto la confisca definitiva di 736.000 euro nei confronti della figlia di R. R., classe 1952, deceduto nel 2018, accogliendo la proposta congiunta del Procuratore della Repubblica e del Questore di Palermo. La somma, secondo le autorità, rappresenta il ricavato illecito della vendita di un ramo d’azienda nel settore agricolo, frutto di investimenti realizzati con denaro pubblico sottratto dal padre nel corso del suo incarico come amministratore giudiziario.
Indagini e origini del provvedimento
L’Ufficio Misure di Prevenzione Patrimoniali della Divisione Anticrimine della Questura di Palermo, in seguito alla richiesta del Tribunale, ha condotto approfondite indagini sui conti correnti confiscati in precedenti procedimenti di prevenzione a carico di soggetti contigui alla criminalità organizzata e affidati proprio a R. R. in qualità di amministratore giudiziario.
R. R., secondo quanto emerso, avrebbe indebitamente prelevato denaro pubblico per circa quattro anni, per un totale di oltre un miliardo di lire, senza autorizzazione, destinandolo a investimenti personali nel settore agricolo, in particolare per la costruzione di una cantina vinicola e di un oleificio a Cattolica Eraclea.
Il ruolo della figlia e la confisca
Gli accertamenti patrimoniali hanno successivamente evidenziato come la figlia di R. R. avesse ricevuto dal padre la maggioranza delle quote dell’azienda agricola in questione, beneficiando quindi in modo diretto degli investimenti realizzati con fondi illeciti. Il 17 maggio 2023, la donna ha venduto il ramo d’azienda, incassando 736.000 euro, somma successivamente sequestrata nel giugno 2023 e ora definitivamente confiscata.
Le motivazioni del Tribunale
Il Tribunale ha riconosciuto la stretta correlazione tra la pericolosità sociale di R. R. e l’incremento di valore dell’azienda agricola, derivante da capitali distratti in maniera illecita dai conti gestiti nell’ambito delle misure di prevenzione. Le operazioni compiute – tra cui bonifici e assegni circolari – sono state giudicate come una reiterata condotta di peculato iniziata almeno dall’agosto 2005.
L’intervento è stato possibile grazie alla normativa prevista dal Codice Antimafia, che consente l’avvio di procedimenti di prevenzione anche post mortem, entro cinque anni dal decesso, e nei confronti degli eredi o successori dei soggetti coinvolti.